In termini clinici, la malattia di Parkinson (da James Parkinson, farmacista chirurgo londinese del XIX secolo che per primo ne descrisse le caratteristiche) fa parte di un gruppo di patologie definite “Disordini del Movimento”. È presente in tutto il mondo, colpisce tutti i gruppi etnici ed è la quarta più comune patologia neurologica dopo l’emicrania, l’ictus e l’epilessia.
Confinamento, distanze insuperabili, solitudine, mancanza di attività fisica si sono aggiunti alle mancate visite di familiari e amici generando stati ansiosi, depressione e decadimento cognitivo. I malati di Parkinson soffrono di problemi motori che rendono difficili semplici gesti di vita quotidiana ma anche di disturbi collaterali non strettamente fisici ma ugualmente rilevanti.
Lo testimonia Giangi Milesi, presidente Confederazione Parkinson Italia, una situazione di emergenza che i supporti tecnologici (consulenza telefonica, videochiamate, videoincontri) hanno parzialmente alleggerito ma che ha fatto emergere in modo drammatico le fragilità e le “dipendenze” di questi pazienti, connotando la malattia di Parkinson come un grande problema medico e sociale.
Ad oggi non esistono cure specifiche per il Parkinson, che viene affrontato con un insieme di strumenti finalizzati a migliorare i sintomi: monitoraggio, trattamenti farmacologici, interventi chirurgici, supporti psico-sociali, esercizio fisico, dieta bilanciata possono aiutare a convivere con la malattia. Le terapie farmacologiche puntano sul mix di farmaci, prescritti secondo vari schemi terapeutici e destinati a controllare o migliorare i sintomi anche per lunghi periodi.
Del problema e delle sue implicazioni personali, mediche e sociali si parlerà domenica 11 aprile, in occasione della Giornata Mondiale del Parkinson. Decisive saranno anche le valutazioni sull’impatto che la pandemia da COVID-19 ha avuto e continua ad avere sui pazienti parkinsoniani, le cui condizioni sono notevolmente peggiorate sia dal punto di vista fisico che psicologico.
(Sintesi redatta da: Righi Enos)