Luigi Maria Pernigotti racconta la sua esperienza ai tempi del Covid, come paziente e come medico. Offre così uno sguardo lucido, al termine del tunnel della malattia, sulla presa in carico dei pazienti non autosuffi cienti e sulle Rsa.
Dei momenti passati in Rsa ricorda le inquietudini nelle discussioni per attivare le continue molteplici direttive, avendo in mente due obiettivi: sedare il panico di lavoratori e gestori e darsi da fare. Ricorda le decisioni difficili di fronte a lavoratori decimati dalla malattia, colleghi impauriti e resistenti a muoversi nella residenza con poche protezioni. Ma anche la difficoltà a trovare linee di strategia per evitare che il ricorso all’ospedale per sintomatici di altre malattie non infettive aggravasse il rischio di contagio.
La Rsa, nella sua esperienza, è percepita come una aggiunta al SSN, senza avere una sua vera parte, come emerge anche dei bilanci delle Asl. La Rsa è un fattore che l’organizzazione territoriale considera ancora una spesa per l’acquisto di altri servizi per anziani non autosufficienti e disabili, non un centro di costo che sia il cuore di una missione per curare la salute della popolazione anziana e di chi ricorre all’ospitalità residenziale. Come se le cure delle cronicità in Rsa non fossero altro che atti sanitari e medici che competono al SSN solo per la parte economica del suo sostegno. È come aver riconosciuto che vecchi e disabili cronici non debbano essere interesse primario della sanità pubblica: gli si concede la provvidenza della spesa, ma non s’investe perché, attorno a loro funzioni un interesse sistematico alle cure.
Salvo pochi casi, le Rsa non sono state luogo di espansione di una medicina dedicata e spesso sono rimaste senza apporto di quelle conoscenze specialistiche delle quali i malati possono giovarsi in ospedale; quasi mai sono state luogo di insegnamento universitario e non ha mai preso il via il reale cambiamento, previsto dal ministero della salute. In questo contesto non è difficile immaginare che il via vai dei pazienti tra ospedali e Rsa sia stato un drammatico incentivo alla diffusione del Virus. Le Rsa sono luoghi di cura che forse scontano il peccato originale di essere state concepite non per curare ma solo per ospitare e assistere, luoghi non di aguzzini ma di una improvvisazione sistematica. Il pericolo di immaginare una sanità incentrata nel futuro sull’attuale pandemia si scontra sulla reale necessità di offrire a tutti, in particolare ai vecchi, le risposte ai loro problemi per le cronicità multi patologiche e la non auto-sufficienza dovute alle demenze che per ora nel mondo fanno ammalare più persone del Virus.
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)