La pandemia di Covid-19 sta causando pesanti ripercussioni sulla salute, sui diritti e il benessere delle persone meno giovani. E' importante che i rifugiati più anziani non siano considerati solo come “destinatari passivi e dipendenti da assistenza”, poiché possono rappresentare una risorsa per la comunità, in qualità di leader con funzioni di guida e consiglio e trasmettendo cultura e competenze.
Moas (Migrant Offshore Aid Station) riconosce i molteplici problemi che gli anziani e le loro famiglie affrontano nei campi per rifugiati, quali isolamento sociale, dipendenza cronica da aiuti esterni, problemi di mobilità e di salute mentale.
Un team di Moas ha incontrato, in Bangladesh, Mohammad, un rifugiato Rohingya di 68 anni che vive nei campi di Cox’s Bazar, il quale ha raccontato del suo viaggio dal Myanmar al Bangladesh, avvenuto tre anni fa. "Un viaggio difficile a causa della mia età". Mohammad ricorda un particolare giorno della sua vita: "Era il 25 agosto 2018. Molte persone si erano radunate in un’area del campo e avevano indossato tutte gli stessi vestiti (pantaloni verdi e magliette bianche), avevano portato cartelli e protestavano contro il famigerato governo del Myanmar. Ho guardato la loro manifestazione seduto al lato della strada". In Myanmar, Mohammad era un venditore di noci; oggi non ha più alcun reddito e il Covid-19 ha avuto un forte impatto sulla sua vita: "la vita è diventata ancora più difficile. La pandemia ci ha colpito in diversi modi: per esempio, riceviamo quantità minori di cibo rispetto a prima, non possiamo muoverci in libertà a causa del lockdown e non possiamo nemmeno incontrare i nostri parenti. Le persone con piccole attività non possono uscire a comprare o vendere nulla, coloro che ci avevano sempre aiutato ora non riescono più farlo". Mohammad sogna ancora, nonostante l’età, di tornare a casa.
(Fonte: tratto dall'articolo)