Dagli anni ’50 in poi, in Europa e negli Usa si sviluppa un dibattito sulle modalità di affronto del fine vita.
Rispetto al passato, si muore di più negli ospedali e in solitudine e per lo più privi di coscienza e di scelta. Spesso la morte è affrontata in silenzio e nella negazione anche per il morente, anche perché tale evento è sempre più considerato assoluto e non come un passaggio verso un'altra vita (Bauman 1992).
Oggi le manifestazioni esterne del dolore e l’accompagnamento dopo la morte vengono in genere scoraggiate. Fenomeno che si spiega con due motivazioni: l’individualizzazione tipica della modernità e la medicalizzazione dei processi patologici. Finora il tema è stato affrontato in modo marginale. Sono intervenute a colmare la lacuna alcune pubblicazioni come il libro di Marzio Barbagli “Alla fine della vita. Morire in Italia”.
L’articolo lo collega a due ricerche sul tema svolte in Emilia Romagna (L’assistenza nel fine vita in oncologia) e in Toscana (La qualità dell’assistenza nelle cure del fine vita).
I due studi regionali, a partire da condizioni strutturali e di politica sanitaria tra le migliori in Italia, evidenziano una realtà sul fine vita che necessita di una profonda riorganizzazione e che risulta, nei fatti, meno realizzata di quanto Barbagli sostenga nel suo volume. Barbagli, addita ai sociologi una modalità di analisi che, passando attraverso la conoscenza della letteratura sul tema, tende a verificarne gli assunti con un uso costante di dati e/o narrazioni. Quello che interessa l’autore è capire l’intreccio fra continuità e cambiamento, valutando il ruolo attribuito alla famiglia e alla parentela dal dominio culturale della chiesa cattolica.
(Sintesi redatta da: Carrino Antonella)