A marzo di quest’anno, a seguito dell’epidemia di Covid-19, il numero dei morti in Italia si è drammaticamente accresciuto e, in alcune aree del Paese, ha raggiunto punte elevatissime. L’Istat con l’Iss hanno diffuso tempestivamente analisi dettagliate sul tema. L’esigenza del monitoraggio è diventata stringente anche a causa dell’enorme numero di vittime che il virus ha mietuto soprattutto nella popolazione anziana, in particolare nelle Rsa e nelle case di riposo ma anche nelle famiglie dove il contagio si è trasmesso fra parenti, anche asintomatici.
In uno studio del prof. Blangiardo (Presidente dell’Istat) si trovano alcune indicazioni utili non solo sull’evoluzione quantitativa di questa mortalità in tutti comuni italiani ma anche alcune ipotesi per prevedere l’impatto che questo fenomeno eccezionale può avere sull’invecchiamento e sulla speranza di vita. Indicatori che, come sappiamo, servono anche a determinare alcune decisioni fondamentali in tema di welfare e protezione sociale.
In generale, prendendo a riferimento un gruppo di 5.069 comuni italiani ( su circa 8.000), il totale dei decessi complessivamente registrati tra il 1° marzo e il 4 di aprile del 2020 risulta superiore del 41% rispetto a quanto osservato per lo stesso periodo del 2019.
Scendendo nel dettaglio territoriale si individuano realtà in cui la frequenza di morti supera di almeno dieci volte i dati registrati nel 2019 in 48 comuni; ma in altre 140 municipalità, tale valore si è quintuplicato. Ci sono poi 37 piccoli comuni dove fra 1 marzo-4 aprile del 2019 non c’era stato alcun morto e che, nello stesso periodo di quest’anno, hanno avuto 304 decessi. Tutto ciò, mentre dal confronto per sesso ed età, si rileva una crescita del 44% tra gli over 65 deceduti, a fronte dell’11% registrato nelle altre classi d' età. L' incidenza, peraltro, è stata molto maggiore fra gli uomini (+56% ) rispetto alle donne ( +34%) nella stessa fascia d’età.
Sono numeri che danno la misura della drammaticità di ciò che stiamo vivendo ma bisogna chiedersi da ora come tutto ciò impatterà sulle variabili fondamentali della demografia: la speranza di vita e i tassi di invecchiamento della popolazione. Sono dati da considerare per determinare la misura e i destinatari di molte politiche pubbliche di welfare. Ma l’invecchiamento demografico, sino ad ora definito dagli studiosi come “ineluttabile”, potrebbe mostrare i segni di una significativa attenuazione, o persino di una inversione di tendenza ?
Queste le conclusioni cui giunge lo studio.
Immaginando che l’effetto Covid-19 possa determinare per tre mesi un costante incremento della probabilità di morte in corrispondenza delle età più anziane ( dal 60° compleanno in poi) nell’ordine del 50%, per il 2020 si otterrebbero 710.000 morti su base annua (73.000 in più rispetto al 2019). In parallelo, la speranza di vita alla nascita scenderebbe a 82,11 anni (-0,87) e quella al 65° compleanno si ridurrebbe da 20,89 a 20,02.
Si legge nel report che “gli aumenti di mortalità dovuti alla pandemia di Covid-19 sono destinati ad accrescersi” e lo studio ipotizza 8 diversi scenari che valutano la durata del maggior rischio di morte fino a novembre nell'ipotesi peggiore e in tre mesi nell’ipotesi più ottimista. Nel primo caso , il maggior numero di decessi è stimato in + 123.000 e nel secondo in + 34.000. In parallelo l’aspettativa di vita alla nascita scenderebbe di 1,4 anni nelle condizioni del modello più sfavorevole, e solo di 4,2 mesi in quello più ottimista. In pratica, nel primo caso si ritornerebbe ai valori dell’aspettativa di vita riscontrati nelle tavole di mortalità Istat del 2009-2010 e nel secondo ai valori del 2014. Per quanto concerne gli effetti sull’invecchiamento demografico, i modelli del prof. Blangiardo indicano che la crescita della componente anziana sia per gli over 65 che per gli over 85 non si arresterebbe in nessun caso.
Nel caso di condizioni di sopravvivenza più sfavorevoli, gli over 65 crescerebbero di 60.000 unità e gli over 85 di 2.000; nell’ipotesi meno drammatica l’incremento sarebbe rispettivamente per la classe di età più giovane di 145.000 unità e per i più anziani di 49.000 unità.