Secondo un corso promosso dall’Ufficio nazionale della Pastorale della Salute della Cei dal titolo «Formazione alla cura e all’accompagnamento spirituale in cure palliative», la spiritualità fa parte a pieno titolo del percorso di cura. La necessità del corso, rivolto ad assistenti spirituali e altre figure professionali che si occupano di cure palliative, è spiegata da uno dei curatori, Guido Miccinesi, referente per la Psico-oncologia della struttura di Epidemiologia clinica e di supporto al Governo clinico dell’Istituto per lo studio, la prevenzione e la rete oncologica (Ispro). Per Miccinesi l’esigenza di comprendere meglio la dimensione spirituale della cura è sempre più sentita da più parti. L’ascolto profondo è l’elemento più nuovo e difficile per chi non ha fatto training di psicologia.
Scopo del corso è portare gli assistenti religiosi al livello in cui si sentano in grado di compiere un accompagnamento spirituale anche in situazioni in cui il paziente non professa la stessa fede o si ritrova in assenza di fede. I risultati possono essere sorprendenti. L’effetto è fortissimo e inatteso, per tutti. La comunicazione fra il paziente e chi lo accompagna è molto profonda. L’accompagnatore tocca temi come la morte, e ne esce con una sensazione di completezza della cura.
Fra gli strumenti usati ci sono le domande strutturate che vengono poste al paziente, o le semi-strutturate che l’operatore basa sulla storia. «Siamo un Paese di radice cattolica ma non abbiamo abbastanza strumenti nella nostra lingua per andare incontro ai bisogni spirituali», riflette don Mario Cagna, curatore del corso. Il suo modello preferito, spiega, si basa su quattro aree di attenzione: la prima è la fede intesa come dimensione spirituale, la seconda è rappresentata da ciò che è importante per la persona, la terza è se esiste una comunità di riferimento come la famiglia, la parrocchia, la quarta infine è ciò che può fare l’operatore.
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)