Nell'Alzheimer l'accumulo di beta-amiloide e di placche neurofibrillari di proteina tau sono al momento l'unico elemento su cui intervenire con i nuovi farmaci. Gli anticorpi monoclonali allo studio legano infatti, in modo selettivo, la proteina beta-amiloide per rimuoverla dal cervello. La Food&Drug Administration degli Usa ha approvato l'uso di uno di questi anticorpi sulla base della sua efficacia nel ridurre il carico cerebrale della proteina stessa, pur in assenza di evidenze cliniche che serviranno all'agenzia per confermare o meno l'autorizzazione. Uno degli aspetti più studiati è quello delle infezioni virali sulla patogenesi della malattia.
L'ipotesi di un meccanismo diretto è stata proposta in un lavoro apparso su «Nature Communications», secondo cui alcune proteine virali sarebbero in grado di promuovere l'aggregazione e la diffusione delle proteine neurotossiche. La seconda ipotesi è quella di un'azione indiretta dell'infiammazione scatenata dalla risposta immunitaria indotta dal virus. Quanto al Covid-19, si stanno accumulando molti dati, ma al momento non è possibile andare oltre un generico aspetto interpretativo che vede il legame tra virus e neurodegenerazione mediato dall'infiammazione.
Si indaga anche sulle cellule immunitarie della microglia che, all'inizio, distruggono le placche e gli ammassi di proteine neurotossiche, ma poi finiscono per favorire l'infiammazione, rilasciando fattori tossici che peggiorano la situazione. Il ruolo di queste cellule nell'accumulo di proteine anomale potrebbe essere legato al «riarrangiamento» di sinapsi malfunzionanti. C'è poi il fatto che la propagazione nell'encefalo degli aggregati di proteine indica l'esistenza di un meccanismo, detto « simil-prionico»: le proteine alterate funzionano da stampo per quelle sane, inducendo una trasformazione patologica.
Tuttavia, avvertono gli specialisti, pensare di risolvere una malattia così complessa con un singolo farmaco è un'impresa difficilmente realizzabile: la strada è una combinazione di trattamenti rivolti ad aspetti importanti nella genesi dell'Alzheimer, come le alterazioni vascolari, la neuroinfiammazione e le caratteristiche genetiche. Come ha spiegato su «Bmj Neurology» il neurologo Gianluigi Forloni, è il momento della medicina di precisione anche in neurologia: «Condurre studi clinici con meno soggetti, ma accuratamente selezionati, stratificati sulla base dello stadio di malattia, e poi possedere marker di malattia affidabili e indicatori biologici certi per la valutazione dell'efficacia delle terapie e, appunto, combinare farmaci diversi, come un anticorpo e un antiinfiammatorio o un neuroprotettivo, può essere la strada per ottenere finalmente risultati soddisfacenti».
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)