I robot stanno uscendo dalle fabbriche per entrare nelle case, ad esempio nella cura quotidiana e nell’assistenza delle persone. Maria Chiara Carrozza, ordinario di bioingegneria industriale alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa ex Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca da alcune settimane è il nuovo direttore scientifico della Fondazione Don Gnocchi. Obiettivo del suo impegno è di progredire ed espandere le attività di ricerca traslazionale della Fondazione così da portare nella pratica clinica i risultati della ricerca scientifica, attraverso protocolli di sperimentazione di nuove terapie o di nuove metodologie. Il diffondersi e l'ampliarsi dell'utilizzo di robot pone sempre più frequentemente interrogativi sull'utilizzo di questi strumenti, sia nei rapporti robot-assistito che per quello che riguarda le prospettive di lavoro tra professionisti e tecnici e tecnologie innovative che nel tempo ne rileveranno i compiti. I robot già oggi sono usati per migliorare le terapie riabilitative. La Fondazione Don Gnocchi è impegnata con IIT di Genova nella realizzazione di un robot antropomorfo capace di interagire con il paziente e di accompagnarlo nella somministrazione della terapia, e con la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa che studia la robotica indossabile, come gli esoscheletri. Secondo Maria Chiara Carrozza queste scelte operate dalla Don Gnocchi sono una indicazione a non avere paura delle nuove tecnologie, perché l’utilizzo della robotica è solo davvero per il miglioramento della vita delle persone deboli, per aiutare le persone, non solo il paziente ma anche il lavoratore, che deve sapere di essere una persona che utilizza alcuni strumenti per migliorare il proprio lavoro di cui rimane responsabile. D'altra parte l'Unione Europea ha indicato la necessità di porre «un’attenzione particolare alla possibilità che nasca un attaccamento emotivo tra gli uomini e i robot, in particolare per i gruppi vulnerabili (bambini, anziani e disabili)». A differenza del Giappone dove invece si auspica l'instaurarsi di un rapporto emotivo tra pazienti e robot in quanto migliora la somministrazione della terapia cognitiva. Un tema questo, secondo Carrozza, legato all’etica di chi utilizza e sviluppa i robot, ma che la vede d’accordo ad usare grande cautela circa un ipotetico legame affettivo fra la persona e la macchina, che non va incoraggiato. Chi utilizza un robot deve essere sempre emotivamente e cognitivamente consapevole che sta utilizzando una macchina, non sta interagendo con qualcosa di simile a un essere vivente.
(Sintesi redatta da: Rondini Laura)