Dall’ultima certificazione della Società di gerontologia e geriatria risulta che ormai si è ufficialmente anziani dopo i 75 anni. Complice una maggiore aspettativa di vita che ha portato, nel giro di pochi anni, ad un guadagno medio di circa 20 anni da vivere in più. Di cui però solo la metà sono anni di vita sani, senza limitazioni funzionali. Circa il 7% della popolazione italiana oggi ha oltre 80 anni e spesso, anche a causa della pensione esigua, è costretto a rinunciare a cure e visite mediche. La media delle pensioni infatti (dati Istat) è di 1.018 euro al Nord, nell’Italia centrale la cifra scende a 908 mentre al Sud si ferma a 709. Tutto ciò indica, tra l’altro, l’urgenza di modificare l’assistenza sanitaria, tenendo conto che l’80% degli anziani oltre i 75 anni ha a che fare con almeno una patologia cronica legata al decadimento fisico. Il nostro sistema sanitario interviene sulla malattia acuta, se serve con l’ospedalizzazione. Bisognerebbe invece passare dalla logica della prestazione a quella del prendersi cura di un anziano con un’assistenza continuativa. Da cui il ruolo fondamentale dei medici di famiglia. Ma la nostra assistenza sanitaria non è ancora organizzata per tutto questo. Gli anziani hanno soprattutto bisogno di parlare, di non sentirsi soli, come scrive Arrigo Levi: «La condizione della vecchiaia è più sociale che fisica». Proprio questo senso di solitudine e di abbandono è una delle condizioni che geriatri, psicologi e studiosi della condizione umana ritengono la più insidiosa di tutte per la salute dei vecchi. D’altra parte l’allungamento della vita porta a vivere mediamente bene diversi anni, quelli che vanno dai 50 ai 75. Ma più che prendere dei farmaci, come fa il 90% di chi ha più di 65 anni, bisognerebbe far si che le persone adottino stili di vita sani. Anche perché avere delle malattie invalidanti penalizza l’intera famiglia.