Le residenze assistite e le case di riposo sono state travolte anche dalla seconda ondata della pandemia. Certo, l’entità del contagio non è paragonabile a quella di 9 mesi fa, ma stavolta le residenze per anziani combattono oltre al virus un nemico non meno insidioso: la penuria di infermieri e operatori socio sanitari che sta mandando in tilt il sistema di cura. Nessuna area del Paese è risparmiata. Al crescente numero dei contagiati tra gli addetti si è affiancata l’apertura dei bandi pubblici e delle chiamate dirette negli ospedali che, da maggio scorso, ha fatto registrare un massiccio esodo di personale qualificato verso gli ospedali, alettato da stipendi migliori e possibilità di carriera. Sono le associazioni di categoria dei gestori e sindacati a lanciare l’allarme. Nel Lazio, dei 4.500 infermieri assunti nel pubblico, la maggioranza è arrivata proprio dal settore della residenzialità privata. Anche nel Veneto il quadro è a tinte fosche. La conseguenza è che in alcuni casi, già si fa fatica ad assicurare servizi cruciali di assistenza agli anziani. Per Roberto Volpe, direttore della Rsa di Valdagno (VI), il rischio è l’aumento di decessi per patologie non collegabili al Covod. Alle 346 Rsa venete, stima, mancano 3.500 infermieri e 2.000 operatori, mandati in esodo incentivato. La beffa è che nelle case di riposo e nelle Rsa, a causa del calo del numero degli ospiti come conseguenza dell’alta mortalità, molte direzioni sanitarie hanno messo in cassa integrazione una parte degli addetti e bloccato i contratti a termine. La seconda ondata ha così colpito una filiera già a corto di personale. E gli operatori rimasti si sono trovati ad affrontare turni massacranti. Per sottolineare la gravità della situazione l’Uneba, Associazione che raggruppa diverse Rsa, chiede l’estensione alle residenze private della possibilità di reclutare medici e infermieri anche all’estero, così come previsto per gli ospedali dal Decreto Cura Italia del marzo scorso.
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)