Sono circa 4 milioni gli italiani soffrono di osteoartrosi, ossia il 12% della popolazione adulta. Si tratta di una malattia reumatologica cronica che causa danni alla cartilagine e ai tessuti circostanti, caratterizzata da una progressiva degenerazione di tutta l’articolazione che ne è interessata.
“L’osteoartrosi è una patologia che interessa, in particolar modo, le persone sopra i 60 anni. Si tratta di una patologia destinata a diventare predominante nel prossimo futuro, in quanto segue l’invecchiamento della popolazione. Per questo è importante che la ricerca si concentri su questa problematica, per dare delle risposte che permettano a chi è affetto da osteoartrosi di migliorare la qualità della loro vita”, sottolinea Gilda Sandri, reumatologa presso il Policlinico di Modena ed ex Vicepresidente CReI, il Collegio Reumatologi Italiani.
"Inizia in modo asintomatico, con i classici "doloretti" che causano rigidità e perdita di funzionalità, spesso confusi con l’avanzare dell’età. Sono segnali a cui non andrebbero fatte spallucce, ma portati immediatamente all’attenzione del medico di fiducia. Perché l’osteoartrosi, la più comune e diffusa di tutte le patologie articolari, può essere trattata. Come in tutte le malattie reumatiche sarebbe opportuno individuare la malattia nella fase precoce e trattarla nelle prime fasi dove è più facile impedire la progressione del danno strutturale. Occorre non sottovalutare i primi sintomi e avvisaglie, indice che qualcosa sta cambiando nell’articolazione. Quando si incominciano ad avvertire i primi disagi nello svolgere le normali attività quotidiane, come salire le scale e correre per prendere l’autobus”, sottolinea il professor Migliore (Reumatologia Ospedale San Pietro, Fatebenefratelli).
Cosa ci riserverà il futuro, nel campo dell’osteoartrosi? “Adesso si stanno affacciando nuove terapie infiltrative che speriamo con il tempo possano portare a una reale rigenerazione del tessuto cartilagineo. Stiamo utilizzando i fattori di crescita di derivazione piastrinica (PRP), così come i trattamenti infiltrativi con cellule mesenchimali di derivazione midollare oppure di derivazione adiposa. Sono queste le ultime frontiere che già permettono di apportare dei cambiamenti a livello clinico in termini di miglioramento del dolore e della funzionalità articolare”, conclude il dottor Alessandro Di Martino, ortopedico presso la II clinica e Ricercatore presso il Laboratorio ATRc (Applied and Translational Research center) del Rizzoli.
(Sintesi redatta da: Righi Enos)