Secondo uno studio pubblicato da Swiss Life la grande maggioranza dei lavoratori più anziani è ben integrata nel mercato del lavoro: fra i 55/64enni la quota degli occupati è del 73%, ritenuta elevata a livello internazionale (la media dei Paesi dell’Ocse è del 62%) e di 7 punti percentuali superiore a quella di dieci anni or sono. “Per la maggior parte i lavoratori anziani si sentono valorizzati nell’impiego, hanno autonomia finanziaria e sono soddisfatti della loro situazione lavorativa”, afferma Andreas Christen, uno degli autori dell’analisi.
Tuttavia la probabilità di diventare disoccupati diminuisce man mano che l’età avanza, ma se si perde il lavoro le possibilità di ritrovare un impiego comparabile scendono fortemente una volta superati i 50 anni. Secondo i ricercatori, dal 6% al 7% della popolazione si ritira non volontariamente (per licenziamento o prepensionamento dovuti a motivi aziendali) dalla vita lavorativa tra i 55 anni e la normale età di pensionamento. “Questa cifra è troppo bassa per parlare di una sistematica spinta dei lavoratori anziani verso il pensionamento involontario, ma è sufficientemente elevata per far sì che molti abbiano paura delle conseguenze della perdita dell’impiego alla fine della loro carriera professionale”, osserva Christen.
Solo un quarto dei 55-64enni interpellati si aspetta di trovare di nuovo un lavoro comparabile se perde quello che ha. Il pessimismo comporta anche conseguenze politiche: solo il 30% di coloro che temono il licenziamento sono piuttosto o chiaramente a favore di un’età ordinaria di pensionamento più alta, rispetto al 46% di coloro che considerano sicuro il loro impiego. Più il proprio lavoro è percepito come insicuro, più è probabile che ci si opponga a un aumento dell’età pensionabile, riassumono gli esperti dell’assicuratore specializzato nel comparto vita.
Lo studio mostra in generale che la maggioranza delle ditte persegue ancora una politica del personale passiva nel segmento 55+. Solo un’azienda su quattro adotta misure (tempi parziali, minori oneri e responsabilità, orari di lavoro à la carte ecc.) volte a incitare i propri collaboratori a non andarsene prima dell’età ordinaria di pensionamento. “Alcune aziende sottovalutano l’imminente cambiamento demografico sul mercato del lavoro”, osserva Christen. Nel 2030 ci saranno probabilmente circa un terzo di pensionamenti in più che nel 2019.
“Di conseguenza prevediamo che aumenterà, per le aziende, la pressione volta a sfruttare qualsiasi potenziale di lavoro, incluso quello dei disoccupati, degli inattivi o dei sottoccupati oltre i 55 anni”. Anche se questi sviluppi non porteranno alla scomparsa della disoccupazione tra i lavoratori anziani, sostiene lo studio, molti disoccupati più in là con gli anni potranno guardare alla pensione con un po’ più di fiducia finanziaria nel futuro.
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)