Quella che prevedono i neurologi sarà una vera e propria pandemia che interesserà nei prossimi decenni le patologie neurodegenerative. Negli Stati Uniti come in Europa si assisterà ad una triplicazione dei casi di malattia di Alzheimer, quasi 14 milioni nel 2050, e ancora di più in quei paesi emergenti dove l’aspettativa di vita sta rapidamente crescendo.
È stato calcolato l’impatto sui sistemi sanitari di queste nuove terapie biologiche che potrebbero essere disponibili nei prossimi anni. “Lo studio condotto dall’agenzia americana Rand Corporation, che ha calcolato l’impatto negli Stati Uniti e nei paesi europei, ha dimostrato che in Italia su 20,6 milioni di persone con età superiore ai 55 anni nel 2019, 16,4 milioni potrebbero richiedere uno screening presso uno studio medico richiedendo quei test che possono prevedere il rischio di demenza; dei 2,9 milioni che risultano positivi allo screening per MCI, 1,4 milioni potrebbero cercare uno specialista per una valutazione, 1,3 milioni potrebbero essere indirizzati per il test del biomarker, 0,6 milioni potrebbero risultare positivi ai biomarker e tornare dallo specialista per conoscere il trattamento, 0,5 milioni potrebbero essere raccomandati per la terapia infusionale”.
Se l’Italia sarà pronta ad accogliere queste terapie è un grande punto interrogativo. “Non siamo ancora pronti perché non abbiamo un adeguato numero di neurologi, geriatri, neuropsicologi, non ci sono pet a sufficienza, non tutti i centri possono fare il liquor cerebrospinale – ha rimarcato il dott. Ferrarese – Proprio per queste previsioni abbastanza catastrofiche, l’Aifa ha finanziato, circa due anni fa, lo studio Interceptor che ha già concluso l’arruolamento di 400 pazienti con un quadro di declino cognitivo lieve per studiarli nell’arco di tre anni con un insieme di biomarcatori per poter predire quali sono i soggetti più candidabili a queste terapie quando saranno disponibili. L’altra strategia riguarda l’investimento che si sta facendo in sanità a causa del Covid, che può aiutare a sostenere il progetto di mettere in rete i CDCD affinché siano in grado di affrontare la grande sfida delle nuove terapie”.
(Fonte: tratto dall'articolo)