Da una parte gli anziani, protetti da quello che secondo le statistiche Ocse è uno dei sistemi pensionistici più generosi del mondo. Dall’altra i giovani che sono una generazione che si è impoverita a un ritmo rapidissimo. Si tratta di due gruppi sociali dagli interessi in qualche modo contrapposti. Pensionati verso giovani. Come siamo arrivati a questo punto? Il primo dato è demografico. L'Italia è un paese molto anziano, quasi un abitante su quattro ha più di 65 anni. Le persone di una certa età tendono a essere politicamente più compatte nelle proprie richieste alla politica, più organizzate e incisive. Quando in democrazia si vota per decidere come dividere le risorse presenti il peso elettorale è fondamentale. Per esempio nel sindacato in Italia i pensionati sono milioni d’iscritti. Una percentuale molto superiore a quella del resto d'Europa, dove gli iscritti sono in media il 10 per cento. Nella FERPA, il sindacato europeo dei pensionati su 10 milioni d’iscritti provenienti da tutto il continente, ben 6 sono italiani. Fatti che alla politica non sfuggono, tanto che nell'ultima campagna elettorale una delle maggiori proposte è stata la cosiddetta “Quota 100”. I giovani sono frammentati e privi di una reale rappresentanza delle loro istanze, sembrano persino meno interessati alle questioni politiche. La risposta dei giovani è stata di due tipi. Chi ha potuto è proprio andato via dall’Italia: circa 60mila persone l'anno nel solo 2017. Chi resta appare spesso sfiduciato, scoraggiato. Un sondaggio Ipsos prima delle scorse elezioni europee mostrava che fra i nati dal 1985 al 1999 meno di metà degli elettori avrebbe sicuramente votato.
(Fonte: tratto dall'articolo)