Dal 1° luglio ripartono i licenziamenti. E molte aziende saranno tentate di sostituire il personale dalle competenze obsolete e avanti con l’età con energie fresche e stipendio inferiore. Ma cosa succederà a quei dipendenti troppo giovani per la pensione e troppo vecchi per continuare?
La soluzione del contratto di espansione - con la soglia abbassata alle aziende con almeno 100 dipendenti dai 250 - farà l’effetto di una goccia nell’oceano. Aiuterà a prepensionare 4.500 persone. Si arriva a 10.500 nel 2021 con la norma Conte. Neanche il 4% di quanti ogni anno vanno in pensione anticipata. E il 2% dei pensionamenti totali.
Non solo. Dalle prime simulazioni uscire a 62 anni, a cinque dalla pensione di vecchiaia, comporta perdite pesanti subito e permanenti poi. Con l’assegno decurtato ora di quasi un quarto e per sempre del 10-15%, calcola Progetica. A vita media di 82 anni, un lavoratore con stipendio netto da 2mila euro al mese rinuncerebbe a quasi 80 mila euro netti, 122mila lordi.
L’unica altra soluzione in campo, Quota 100, l’uscita a 62 anni con 38 di contributi, scade il 31 dicembre. Era una sperimentazione triennale e non verrà rinnovata. Tutti quelli che avevano i contributi - soprattutto uomini dalle carriere stabili - ne hanno approfittato o stanno per farlo. Sin qui i quotisti sono 267mila, si potrebbe arrivare a 385mila alla fine dell’anno. Quasi 600mila in meno sul milione ipotizzato.
Al 1° gennaio 2022 scatterà dunque lo scalone. Si tornerà cioè ai 67 anni per la vecchiaia. Un balzo con differenze paradossali, come indica Progetica. Se prendiamo le tre classi di età esposte 1959, 1960 e 1961 - e ipotizziamo un diverso inizio di contribuzione per ciascuna - a 23, 24 o 25 anni - ci accorgiamo che a parità di anno di nascita si passa da uno "scalino" di 3 anni e 8 mesi a uno "scalone" di 5 anni e 2 mesi. Due compagni di scuola, coetanei dunque, potrebbero restare al lavoro per un tempo diverso, più o meno lungo.
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)