Elsa Fornero continua ad essere convinta della pericolosità di Quota 100, la misura temporanea di accesso anticipato al pensionamento rispetto alle regole stabilite dalla riforma del 2011 (che tendeva alla sostenibilità del sistema e a un maggiore equilibrio finanziario tra le generazioni). Il decreto che la introduceva, spiega, prevedeva altre misure, come la sospensione fino al 2026 dell'indicizzazione dell'anzianità contributiva alla speranza di vita. Nei primi due anni di applicazione 2019-20 l'aumento di spesa è stato pari a circa 16 miliardi, di cui 9 per la sola Quota 100. Il finanziamento è avvenuto a debito, in barba al desiderio di «aiutare i giovani». La prospettiva di sostituire ciascuna uscita anticipata con tre nuovi occupati giovani non si è verificata.
Quota 100 non è rivolta a persone con difficoltà di lavoro o di salute; è iniqua nei confronti delle donne, alle quali è stata riservata la ben più penalizzante «opzione donna», che calcola la pensione interamente secondo il meno generoso metodo contributivo. Ha obiettivi di breve termine, non pone alcun rimedio né al bassissimo tasso italiano di occupazione (nel 2019 superiore solo a quello della Grecia) né all'invecchiamento della popolazione (trascurando la pandemia, sperabilmente in ritirata, la mortalità diminuisce anche tra gli anziani).
Perché, si chiede la Fornero, un piano di ripresa come il Pnrr dovrebbe insistere su una «simil-quota 100»? Una delle ragioni addotte sta nel fatto che la sua cancellazione dal 31 dicembre 2021 imporrebbe uno «scalone» di 5 anni a quei lavoratori che, per esempio, maturano la combinazione di età/anzianità nel mese di gennaio 2022. Tuttavia, aggiunge, è davvero impossibile, per una volta, utilizzare i mesi che restano per disegnare uno scenario che si proponga di aiutare il più possibile le persone delle classi di età meno giovani a restare al lavoro o a ritrovare un'occupazione, cercando di distinguere chi un lavoro ce l'ha da chi invece non ce l'ha; chi ha la salute da chi l'ha compromessa; chi svolge un lavoro «gravoso» da chi svolge un lavoro magari non ameno ma comunque meno faticoso?
Occorrerà operare delle differenze tra i lavoratori non lontani dall'età pensionabile secondo le regole del 2011, che comunque prevedono il pensionamento anticipato con 42 anni (41 per le donne) e 10 mesi di anzianità. Riqualificazione e aggiornamento sono le parole chiave, che rimandano chiaramente a un rapido miglioramento delle politiche attive. Non mancano inoltre, conclude, strumenti che consentono soluzioni di tipo "assistenziale" (Ape social) e anche scelte individuali senza carichi per le generazioni giovani e future, come l'Ape volontaria e il contratto di espansione.
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)