Pensioni e pensionati sono spesso al centro del dibattito del dibattito politico in cui si discute accesamente di quota 100. Nella società civile, poi, si rasenta lo scontro generazionale e il recente fenomeno mediatico dell’ok boomer, divenuto un modo diffuso sui social network per etichettare gli appartenenti alla generazione matura, ne è un esempio pratico. Che cosa dicono i numeri in proposito? I dati più aggiornati vengono dal rapporto Istat sulla condizioni di vita dei pensionati pubblicato il 15 gennaio scorso.
In Italia, nel 2018, c’erano circa 16 milioni di pensionati, più di un quarto della popolazione residente, ma in numero stabile rispetto il 2017. In pratica su 1000 lavoratori si contavano 606 pensionati ( erano 686 nel 2000). L’Istat ci dice che questo rapporto è andato migliorando dopo la riforma Fornero. Le pensioni sono circa 23 milioni, la metà circa (11,8 milioni) di vecchiaia e il resto di altre categorie meno consistenti. Sempre nel 2018 più di un terzo della spesa pubblica complessiva (293 miliardi) è stata destinata a pensioni; si tratta in generale della voce più consistente di spesa per lo Stato.
Si legge nel report Istat, per quasi 7.400.000 famiglie con pensionati i trasferimenti pensionistici rappresentano più dei tre quarti del reddito familiare disponibile. Interessante il fatto che sembra essersi attuato un meccanismo redistributivo di tale ricchezza all’interno delle famiglie. Infatti, si legge nella nota metodologica dell’Istat “ il progressivo raggiungimento dell’età pensionabile da parte di generazioni con alle spalle carriere lavorative più lunghe e posizioni professionali più elevate, ha favorito la redistribuzione dei redditi a vantaggio dei pensionati, contribuendo a ridurre il rischio di povertà per alcuni segmenti di famiglie più vulnerabili”. Il sistema pensionistico assolve dunque ad una funzione positiva di redistribuzione del reddito dalle famiglie che anni di politiche di welfare disorganiche e frammentarie non hanno contribuito a migliorare.
Un altro dato interessante emerge dal report Istat e riguarda l’ampia la disuguaglianza di reddito tra i pensionati: i redditi pensionistici più alti, che sono un quinto del totale assorbono il 42,4% della spesa complessiva; 8 volte di più rispetto al 20% ( 1 pensionato su 5) di quanti percepiscono i redditi pensionistici più bassi che dispongono del 5,2% del totale delle risorse pensionistiche . Quanto agli importi dei trattamenti, un pensionato su quattro percepisce un reddito lordo da pensione sopra i 2.000 ma più di 1 pensionato su 3 (36,3%) riceve ogni mese meno di 1.000 euro lordi e il 12,2% non supera i 500 euro. Questo dato deve essere messo in rapporto al numero di trattamenti percepiti e bisogna quindi tener conto del fatto che, più di 2 pensionati su 3 (67,2%) beneficiano di una sola prestazione, 1 pensionato su 4 ne percepisce due, il restante 8% tre o più.
Il divario di genere è a svantaggio delle donne che, pur rappresentando la maggioranza sia come percettrici di pensioni (55,5%) che come pensionate (52,2%), ricevono solo il 44,1% della spesa complessiva. Non a caso sono più presenti nelle fasce di reddito fino a 1.500 euro ed hanno pensioni di vecchiaia e invalidità più basse degli uomini. La presenza femminile è invece dominante tra le pensioni ai superstiti (86,3%), anche per una più elevata speranza di vita,e tra le pensioni assistenziali . Sono più presenti degli uomini, inoltre, trai titolari di più prestazioni e, in questo senso, si attutiscono le differenze di genere dovute alla minore durata della carriera contributiva e dalla loro ridotta partecipazione al mercato del lavoro.
Quanto alla distribuzione territoriale dei redditi, i pensionati con le pensioni più basse risiedono soprattutto nel Mezzogiorno, dove sono più diffuse le pensioni assistenziali a svantaggio di quelle da lavoro. Qui, il quinto di popolazione che appartiene alla fascia di reddito da pensione più basso percepisce fino a 7 mila euro lordi annui ( al Nord si arriva a 9.000).