Sono passati 110 anni dalla scoperta dell’Alzheimer che è diventato una delle emergenze sanitarie del XXI secolo e - riconosce Antonino Cattaneo biofisico di formazione e neuroscienziato alla Scuola Normale Superiore di Pisa «i progressi dal punto di vista del paziente sono stati virtualmente nulli. Gli unici farmaci oggi disponibili sono stati approvati oltre 15 anni fa». Infatti il titolo della sua conferenza, nell’ambito del programma «Immersioni virtuali nella scienza» era esplicito: «Perché non abbiamo ancora una cura per l’Alzheimer?». Il professore parte da ciò che si è capito fino ad ora, cioè che alla base della malattia ci sono tre cause, legate a una serie di lesioni specifiche: le placche di amiloide, i grovigli neurofibrillari della proteina tau e una popolazione di neuroni colinergici che degenera. Queste alterazioni creano le «strutture aberranti» che mandano in tilt il cervello. Gli studi finora non si sono tradotti in nuove terapie anche a causa della impossibilità di fare diagnosi precoci. I ricercatori battono nuove strade tra cui quella del team di Cattaneo alla Normale che si basa sull’idea di ripartire dalla plasticità sinaptica - i processi con cui si formano e si danneggiano le connessioni tra i neuroni - e unire questi studi d’avanguardia a quelli consolidati sui «bersagli molecolari». Cattaneo si è concentrato su « un meccanismo a monte della cascata di neurodegenerazione: abbiamo scoperto che l’alterazione in un fattore neurotrofico specifico, la molecola Ngf scoperta da Rita Levi Montalcini, provoca dei danni cerebrali simili a quelli dell’Alzheimer». Le cellule coinvolte per prime non sono i neuroni, ma astrociti e la microglia, abbondanti nel cervello e con un ruolo di supporto alle funzioni neuronali. «La loro degenerazione può essere contrastata con una forma modificata dell’Ngf, da noi chiamata “painless Ngf”: questo fattore protettivo è stato codificato per ridurre alcuni effetti indesiderati, come l’induzione del dolore».
(Sintesi redatta da: Flavia Balloni)