Paolo Ruffini, partendo da una richiesta postata su Instagram, incontra realtà familiari che, ad ogni latitudine del nostro Paese, hanno avuto o hanno tuttora la presenza di un congiunto affetto dal morbo di Alzheimer.
In Italia circa 1 milione di persone lo vivono in prima persona e circa 3 ci entrano in contatto per l'assistenza. Sperimentare la scomparsa fisica di una persona amata (senza che questa sia deceduta) è un dramma a volte indescrivibile e ben lo sa chi segue trasmissioni con alto share come "Chi l'ha visto?".
Ma veder scomparire progressivamente un congiunto in presenza potrebbe essere una condizione esistenziale ancor più difficile da descrivere.
Paolo Ruffini, con la delicatezza e leggerezza che in lui non è mai sinonimo di superficialità, riesce a far emergere sia il dolore sia l'amore e la tenerezza che, tra mille ostacoli e difficoltà, si possono instaurare tra chi è affetto dal morbo e chi gli è vicino.
Se l'Alzheimer per ora non si può guarire lo si può però curare e Ruffini, da sempre attento al sociale (si veda Up & Down - Un film normale) ce ne offre una molteplicità di testimonianze.
Si va da chi sta lentamente entrando nel tunnel della malattia ed è consapevole del proprio futuro, che affronta lucidamente, a chi non ha più al proprio fianco la compagna di vita che ha accompagnato negli anni della progressiva perdita del sé.
Ognuno rivela la propria pena ma anche le scoperte fatte in seguito all'insorgere della malattia con legami che, se possibile, si facevano ancora più forti dovendo confrontarsi con l'accettazione di reazioni razionalmente inspiegabili proprio perché razionali non lo erano più.
Ruffini consente (e non sono in tanti a farlo nel mondo del cinema documentaristico) al bene (da non confondere con il pessimo e derisorio termine di 'buonismo') di fare notizia perché esiste e si concretizza in un abbraccio, in un rapporto nonna-nipote, in quattro mani che si muovono sui tasti di un pianoforte. Sa come mostrarcelo con pacata ma ferma determinazione.
(Fonte: www.mymovie.it)