Il Rapporto Draghi all’Unione Europea non riflette sulla necessità di “investimenti demografici” a garanzia del necessario equilibrio intergenerazionale.
Quest’ultimo sarebbe infatti possibile semplicemente rimediando al “deficit demografico”, mentre le famiglie sarebbero rilevanti solo come un aggregato di consumatori. Si tratta però di una visione riduttiva.
Senza famiglie e figli non si forma “capitale umano”, e senza “capitale umano” non può esserci sviluppo economico; i figli costituiscono, dunque, il primo “motore” della società, e la famiglia ne garantisce il buon funzionamento.
Il Rapporto indica investimenti specifici, ma non interventi diretti a invertire l’inverno demografico. Con gli attuali tassi di natalità l’aumento della produttività (per esempio, con una maggiore digitalizzazione o una più efficace formazione) potrebbe non essere sufficiente; a quel punto la competitività delle imprese verrebbe garantita solo dal basso costo del lavoro.
Si tratta di uno scenario che, soprattutto in caso d’inflazione, non è sostenibile per le stesse imprese, nonché pericoloso per le famiglie e i loro risparmi. Chiedere alle famiglie (in particolare a quelle italiane, grandi risparmiatrici) di “spiazzare” i risparmi a favore di una loro gestione europea “centralistica”, significa rischiare di privare i territori di risorse utili a evitare lo spopolamento, in primis, delle aree rurali.
Si spera che la nuova Commissione europea possa integrare il Rapporto, includendovi la “questione demografica” come fattore essenziale di sviluppo economico, oltre che di coesione sociale, per le famiglie e le loro comunità.
(Sintesi redatta da: Mayer Evelina)