Ogni anno le demenza mietono dieci milioni di nuove vittime. Un’epidemia che, stima l’Organizzazione mondiale della sanità, entro il 2050 potrebbe portare a oltre 150 milioni di casi nel mondo, scandendo le vite di chi ne è colpito da vuoti di memoria, confusione, difficoltà a parlare, muoversi, riconoscere luoghi e persone cari. Fino all’oblio di sé, alla perdita dei contatti con il mondo. Un costo – in termini di salute e assistenza – contro cui medici e ricercatori cercano di armare nuovi argini, tanto sul fronte farmacologico che su quello della prevenzione. Ma cosa sappiamo su quello che abbiamo già in cantiere? A chiederselo oggi è un gruppo di ricercatori del Minnesota Evidence-based Practice Center (EPC) che sugl Annals of Internal Medicine presentano quattro review in cui passano in rassegna le evidenze presenti in letteratura per stabilire se interventi farmacologici, attività fisica, vitamine e supplementi nonché training cognitivi, siano efficaci nel prevenire la demenza in soggetti senza la malattia agli inizi degli studi o con deficit cognitivi lievi. La letteratura analizzata mostra come non ci siano evidenze sufficienti in nessuno dei campi presi, singolarmente, in considerazione.
(Fonte: tratto dall'articolo)