L’innovazione tecnologica applicata al mondo della medicina sposta le lancette biologiche dell’uomo fino a un limite massimo dei 150 anni. A scriverlo, il team di ricerca di un’azienda biotech con sede a Singapore in collaborazione con il Roswell Park Comprehensive Cancer Center di Buffalo (Stati Uniti).
Un’azienda che si pone il modesto obiettivo di «hackerare malattie complesse e invecchiamento con l’Intelligenza artificiale per la scoperta di farmaci e biomarcatori digitali ». Il team di esperti in biologia e biofisica guidati da Tim Pyrkov, primo autore dello studio, ha presentato i risultati di un’analisi dettagliata delle proprietà dinamiche delle fluttuazioni degli indici fisiologici lungo le traiettorie di invecchiamento individuali.
Come spiega Richard Faragher, professore di Biogerontologia all’Università di Brighton, in un articolo pubblicato sul quotidiano spagnolo El Paìs, «intuitivamente, dovrebbe esserci una relazione tra la possibilità di morire e la rapidità e la misura in cui una persona guarisce da una malattia. Questo parametro è una misura della capacità di mantenere l’omeostasi, il normale equilibrio biologico, ed è noto come resilienza. Infatti, l’invecchiamento può essere definito come la perdita della capacità di mantenere l’omeostasi. In genere, più una persona è giovane, più è in grado di riprendersi rapidamente dalla malattia».
«Questo lavoro del team mostra che gli studi longitudinali forniscono nuove possibilità per comprendere il processo di invecchiamento e l’identificazione sistematica dei biomarcatori dell’invecchiamento umano in grandi dati biomedici. La ricerca aiuterà a comprendere i limiti della longevità e i futuri interventi anti-invecchiamento. Ancora più importante, lo studio può aiutare a colmare il crescente divario tra salute e durata della vita, che continua ad ampliarsi nella maggior parte dei Paesi in via di sviluppo», afferma Brian Kennedy, Distinguished Professor di Biochimica e Fisiologia presso la National University di Singapore.
Secondo il professor Marco Trabucchi, presidente dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria: «Questo lavoro ci dice una cosa molto chiara: non possiamo arrivare a quell’età attraverso i mezzi che ci sono concessi dalla scienza e dalla medicina. Ci dice che, mantenendo uno stile di vita sano e prevenendo le malattie, ugualmente non potremo superare il limite dei 150 anni. Fino a quell’età, la possibilità di resilienza verrebbe conservata. Quindi su questa potenzialità di resilienza dobbiamo costruire gli interventi per la nostra vita e per quelli delle comunità».
«E a mio giudizio bisogna essere realistici - continua -, è importante riuscire ad arrivare bene, il più a lungo possibile, ma i 150 anni non sono mica un obiettivo che io vorrei raggiungere. Mi accontenterei di molto meno. E poi non credo che potremmo vivere 150 anni in serenità: sarebbe una vita disastrosa, trascinata nel buio, nel dolore e nella fatica, psicologica prima ancora che biologica».
(Sintesi redatta da: Righi Enos)