L’ipertensione arteriosa è uno dei principali fattori di rischio per le malattie cardiovascolari, se non il più importante. Il problema, però, è stabilire quando i valori di pressione possono essere considerati normali e quando, invece, si deve cominciare a parlare di ipertensione. Su questo punto le regole sono cambiate nel corso degli anni. Le ultime le hanno appena dettate l’American College of Cardiology e l’American Heart Association e stanno facendo molto discutere. Per alcuni esperti i nuovi parametri per definire l’ipertensione (e di conseguenza le terapie) sono troppo restrittivi e rischiano di creare danni, soprattutto nella popolazione anziana. Secondo gli americani è da considerare pressione «normale» quella sotto i 120 millimetri di mercurio (mmHg) di massima (pressione sistolica, quando il cuore si contrae) e sotto gli 80 di minima (pressione diastolica, quando il cuore si rilascia). Gli europei, invece, ritengono «ottimale» una pressione al di sotto dei 120 e degli 80, ma ritengono ancora «normali» valori fino a 130-84 e «normali alti» fino a 139-89. In Italia con valori normali alti si cerca di evitare l'uso di farmaci e di agire sullo stile di vita: diminuire di peso, fare attività fisica, smettere di fumare. Seguendo le nuove raccomandazioni americane, non soltanto aumenterebbe il numero di persone che dovrebbero assumere farmaci, ma, oltre i 140 di massima, andrebbero trattati tutti i pazienti, anche i più anziani. «Attualmente, nei pazienti anziani - nota Giuseppe Mancia, professore emerito dell’Università di Milano Bicocca e chairman del gruppo di studio dell’Esh che sta mettendo a punto le nuove linee guida europee - cominciamo il trattamento quando la pressione è a 160 mm Hg e oltre e cerchiamo di arrivare sotto i 150 di massima. Occorre fare molta attenzione a diminuire la pressione nell’anziano, perché il rischio (soprattutto quando la minima va sotto i 70) è quello di ridurre troppo l’afflusso del sangue in organi come il cervello, il cuore o il rene».
(Fonte: tratto dall'articolo)