La comunità scientifica ha trovato un accordo sul test del Psa come strumento di prevenzione per la diagnosi precoce del tumore alla prostata. Si tratta di un esame consigliato agli uomini a partire dai 50 anni, da eseguirsi sotto stretto controllo medico. Questa decisione nasce da importanti studi internazionali hanno coinvolto centinaia di migliaia di uomini in Europa e negli Stati Uniti e i loro esiti sono stati confrontati con le statistiche relative ai nuovi casi diagnosticati e alla mortalità per carcinoma prostatico negli ultimi 20 anni. Quando nel 2008 gli esperti americani si sono pronunciati contro l’utilizzo del Psa, ne è conseguito un drastico calo nell’esecuzione del test e, conseguentemente, un aumento significativo di casi localmente avanzati o metastatici alla diagnosi. Oggi sembrerebbe sia stata trovata la giusta via di mezzo.
Si tratta di un progetto innovativo (proposto alla Commissione europea nell’ambito del piano per battere il cancro 2021-2027) portato avanti da tutte le società scientifiche italiane che si occupano di urologia.In pratica, è stato elaborato un algoritmo che prevede un utilizzo «razionale» del Psa, che tiene conto di diverse fasce d’età e dei fattori di rischio degli uomini. E, quando necessario, in presenza di un Psa sospetto, prevede la valutazione della Psa-density e la risonanza magnetica multiparametrica della prostata come passaggi successivi di approfondimento diagnostico, prima di arrivare a una biopsia.
La densità del Psa mette in rapporto il valore del Psa con il volume prostatico: da prostate più «grandi» ci si aspetta una produzione maggiore (e dunque livelli più elevati) di Psa. La risonanza multiparametrica, inoltre, analizza tre parametri (densità, diffusione e vascolarizzazione) ed evidenzia la morfologia della ghiandola prostatica e delle strutture circostanti e al contempo rileva aree con caratteristiche particolari, diverse nel tessuto sano e in quello tumorale.
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)