Qualcuno ha parlato del virus come di una odierna “livella”, ricordando Totò. Ma non è così. Non lo è tra gli Stati che hanno sistemi sanitari diversi tra loro e conseguenze diverse sulla popolazione e non lo è nelle nostre città. Se questa situazione ci mette tutti dinanzi ad alcune domande di fondo, non ci rende tutti uguali.

L’Italia è stata colpita prima e più duramente di tanti altri Paesi. Altri che ci guardavano con distacco si stanno trovando nelle nostre medesime condizioni. Dopo un primo momento di sbandamento e confusione si è compreso come la misura più efficace per contrastare la diffusione del virus (oltre alla ricerca) fosse l’isolamento: dapprima dei malati, pian piano di tutta la popolazione.

E' giunto il momento di chiederci però anche l'impatto che hanno queste misure sui più deboli. Su chi una casa non ce l'ha o su chi già per le sue condizioni di debolezza vive già in isolamento.

L’universo degli anziani, ad esempio, è connesso a doppio filo con la grande malattia del nostro tempo: la solitudine. Pensiamo solo a Roma: le famiglie con un solo membro sono il 44%. Gli anziani soli sono 250.000 su 626.000. Roma è città di soli e anziani: gli over 65 sono il 21,6% e gli over 80 il 6,7% (quasi 200.000). Molti anziani sono poveri: 150.000 con un reddito inferiore agli 11.000 euro. Tra gli ultra 65enni il 30% è solo. Se si aggiungono le solitudini in due, senza figli e famiglia, arriviamo al 66% di anziani che vivono in isolamento o solitudine con tutte le vulnerabilità che ne conseguono. Cosa vuol dire per loro #iorestoacasa?

Proviamo ad immaginarci cosa vuol dire per chi una casa non ce l'ha e non capita solo a chi sceglie di stare per strada ma anche chi per vari motivi l'ha persa suo malgrado.