È stato dimostrato che i geni coinvolti nella malattia di Alzheimer sono responsabili di non più del 3% del rischio. I geni caratterizzati fino a oggi possono o meno essere responsabili di un aumentato rischio, non sono però la causa diretta e unica della malattia; la loro presenza non può essere dunque interpretata come una condizione di rischio assoluto.
La comparsa della malattia è modulata dalla cosiddetta capacità di resilienza del nostro cervello, cioè dalle difese che possono essere messe in atto di fronte ad un rischio di origine genetica. Tale capacità dipende in buona parte dai comportamenti dell’individuo. A questo proposito si ricorda l’importanza dell’educazione, della professione svolta, dall’attivazione cognitiva precedente (letture, attività culturali in genere, giochi di intelligenza e memoria), dell’attivazione motoria.
Pertanto il passaggio dalla condizione di invecchiamento normale a quella di alterazione cognitiva è regolato da un insieme di fattori: alcuni, poiché riguardano la struttura genetica, non sono controllabili dall’individuo, altri invece lo sono. Infatti il processo di modificazione della struttura neuronale che arriva fino alla neuro-degenerazione è lento e si sviluppa in lunghi anni, durante i quali gli stili di vita attivi potrebbero svolgere una continua opera di controllo e rallentamento, allontanando la comparsa dei sintomi.
Non vi sono dati definitivi, ma l’impegno degli studiosi è molto ampio. Sapere che la malattia non è rigidamente collegata a un gene, ma che i meccanismi della sua comparsa coinvolgono anche condizioni che dipendono dalle scelte degli individui, è però motivo di serenità.
(Fonte: tratto dall'articolo)