Affrontare il complesso fenomeno della violenza in RSA richiede molti sforzi. Nella relazione tra operatore e assistito c’è il rischio che il primo, logorato da un carico emotivo oltre le sue capacità, venga sopraffatto dalla sofferenza e reagisca costruendo un muro, in un meccanismo di difesa che porta alla spersonalizzazione dell’altro. A sua volta, l’assistito, logorato dal carico emotivo della sua situazione, trova una valvola di sfogo nella violenza verbale, psichica o psicologica verso l’operatore accanto.
La situazione è significativamente più complessa quando l’anziano ricoverato è affetto da demenza. La malattia di Alzheimer, per esempio, coinvolge la sfera emotiva della vittima, prima ancora di di danneggiarne la memoria, alterando la risposta emozionale agli eventi. Spesso ciò che accade all’anziano suscita in lui emozioni vissute nel lontano passato. Un colore o un odore lo può trasportare nell’infanzia, anche se più che ricordare i fatti, il paziente rivive le emozioni stesse e, non di rado, in maniera amplificata. Lo scatenarsi del delirio però è effetto di un fenomeno che avviene nel cervello del paziente e quindi la realtà esterna è solo lo stimolo e non la causa delle reazione a volte estreme che il malato di Alzheimer manifesta.
Gestire l’aggressività negli anziani con problemi di salute di questo tipo ha risvolti enormi sull’operatore. Gli approcci proposti sono numerosi (metodo Validation, Approccio Capacitante, Gentlecare...), alcuni molto validi nel ridurre l’aggressività del malato e nel migliorare la qualità della sua vita. Ma, per ridurre l’aggressività e migliorare la relazione del paziente affetto da demenza con l’operatore, bisogna intervenire anche per ridurre il pesante impatto emotivo della situazione sul professionista. Affrontare quotidianamente ripetuti episodi di aggressività è distruttivo. Il sostegno volto all’operatore deve includere un costante rinforzo emotivo e un supporto lavorativo efficace. Un gruppo di lavoro motivato, un ambiente sereno, supporto psicologico da parte di professionisti, possibilità di confronto e di riconoscimenti materiali e possibilità di crescita.
Oggi avere cura della salute psicologica degli operatori e di conseguenza della qualità di vita degli assistiti, prevede un sistema organizzativo non più ‘funzionale’ come in passato, ma che metta la persona al centro del processo assistenziale, per evitare anche situazioni di forte criticità sul luogo di lavoro, quali assenteismo, nonnismo, burnout..). Il modello funzionale, che, al contrario, mette al centro il compito e non la persona, che prevede una rigida divisione di compiti in un sistema piramidale alla cui base gli operatori si pongono come meri esecutori delle direttive emanate dai vertici, non è più adatto alle esigenze di chi – da ambo i lati - vive il disagio delle strutture, poiché è cambiata la considerazione della persona.
La persona deve essere assistita in tutte le sue dimensioni: biologica, psicologica e sociale, evitando ogni approccio standardizzato.
All’operatore pertanto si chiede, da parte sua, una maggiore flessibilità, quella di riadattare continuamente il piano assistenziale per rispondere efficientemente ai bisogni dell’assistito.
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)