Amanda Sharkey del Dipartimento di Informatica dell’Università di Sheffield offre un importante contributo sulla discussione anziani/robotica, specificatamente riguardo il profilo della dignità. La sua argomentazione parte dalla considerazione che nelle Rsa le persone non sempre sono adeguatamente assistite. La cura da parte di operatori «in carne e ossa», insomma, non garantisce di per sé la salvaguardia della dignità di una persona anziana.
Può, quindi, l’introduzione dei robot per l’assistenza migliorare la situazione? I robot non sentono la stanchezza, il sovraccarico lavorativo, non possono essere crudeli e sgarbati. Di contro, una persona anziana assistita esclusivamente da un robot, incapace di esprimere emozioni e di dare risposte empatiche, vedrebbe la sua vita sociale decisamente impoverita.
Ma è possibile introdurli in modo che producano un effetto positivo sulla dignità delle persone assistite? Per rispondere a questa domanda è utile chiarire, prima di tutto, cosa si intenda per dignità. Qui la Sharkey tira in ballo l’approccio delle capacità (AC) elaborato da Martha Nussbaum in base a cui, per definire ciò che è necessario perché una vita sia all’altezza della dignità umana, è richiesta una soglia di capacità centrali: vita; salute fisica; integrità fisica; sensi, immaginazione e pensiero; sentimenti; ragion pratica; appartenenza; altre specie; gioco; controllo del proprio ambiente, che sono la risposta alla domanda: «Cos’è in grado di fare e di essere questa persona?». Una soglia che deve essere garantita a tutti anche attraverso un’assistenza personalizzata.
Su tale presupposto, Sharkey distingue tre tipologie di robotica: robot per l’assistenza, robot per il monitoraggio e la supervisione, robot da compagnia. Questi ultimi hanno un aspetto rassicurante. Possono anche simulare emozioni attraverso il movimento e segnalare gli stati d’animo attraverso luci a Led. La preoccupazione più diffusa riguardo a questi robot è che possano ridurre la quantità di interazioni sociali degli anziani. Ma per Sharkey, potrebbero anche espandere alcune delle capacità delle persone più fragili, facilitando le interazioni sociali, potenziando la capacità di gioco, incrementando la capacità di affezionarsi alle cose e riducendo l’ansia. Dunque, assolverebbero a molte delle capacità centrali individuate da Nussbaum.
Tra i limiti dell’approccio AC, invece, evidenzia la mancanza del riconoscimento dei diversi «pesi» che le capacità centrali possono assumere nel corso del tempo: nei soggetti anziani, infatti, occorre fare dei compromessi tra le diverse capacità. Ad esempio accettando maggiore sorveglianza da parte dei parenti per continuare a vivere nella propria abitazione. Inoltre l’AC è stato formulato prestando poca attenzione al bisogno di interazioni sociali e cure reali e non considera la possibilità che gli esseri umani possano essere sostituiti integralmente dai robot.
L’adozione dell’AC, dunque, consente di fare un passo in avanti verso una maggiore comprensione del rapporto tra dignità e assistenza mediante i robot, ma non può considerarsi un approccio risolutivo per valutare i parametri relativi alla dignità del rapporto anziano/robot.
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)