Le residenze sanitarie sono le uniche risposte di lungo termine che il servizio sanitario nazionale può offrire a un certo tipo di pazienti non autosufficienti, eppure il modello è rimasto quello del secolo scorso. Come ridiscutere il modello futuro per anziani e malati tra multiservizi, territorio, terapie non farmacologiche e la personalizzazione degli interventi? Tutti gli aspetti della questione sono stati discussi in una tre giorni di alto livello organizzata a Pizzighettone, in provincia di Cremona, dalla Fondazione Vismara.
Anzitutto occorre smontare la narrazione del Covid, sostengono i diretti interessanti, che dipingeva le residenze per anziani come prigioni. Ma occorre chiarezza perché nessuno sa quante siano esattamente, le residenze nè quanti posti accreditati vi siano. Dall’Europa arrivano alcune risposte. Il modello francese, ad esempio, prevede anche residenze leggere che non sono solo strutture di accoglienza, ma elementi coesivi sul territorio con la casa e la piazza come modelli di riferimento. A ciascuno il suo invecchiamento, sostengono i geriatri francesi, ovvero ogni persona ha un percorso individuale di senescenza. In Italia, fanalino di coda nell’Ocse, la residenzialità leggera è sempre sperimentale. In Francia si va ad abitare in 1.700 realtà che sono case assistite, non stanze con servizi.
Altra buona pratica che ha preso piede in Italia sono i Villaggi Alzheimer, costruiti attorno alla persona dove si condividono spazi e socialità e dove, uscendo di casa, si possono incontrare persone perché sono immersi nel tessuto urbano. Offrono rigenerazione territoriale ai comuni e cittadinanza ai pazienti. Oltre a quello di Monza, attivo da 5 anni, a Milano Figino c’è la struttura “Piazza Grace” dove gli ospiti affetti da decadimenti cognitivi importanti vivono vicino a campi, cascine e in un borgo pedonalizzato con abitazioni nuove. Il cambio è culturale, occorre lavorare non per la morte, ma per la vita e per la sua qualità facendo recuperare agli ospiti, attraverso l’attenzione costante, capacità che parevano perdute. E si guarda anche ai caregiver, che poi sono spesso figli non più in grado di gestire l’ammalato a casa e sono alle prese con conflitti interiori e con il dolore di non venire più riconosciuti dal genitore.
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)