La Comunità di Sant'Egidio ha realizzato un intervento emergenziale di 4 mesi nell’istituto Virgilio Ferrari a Milano, per proporre un nuovo modo di pensare alle Rsa, il cui modello ha mostrato tutte le sue criticità negli ultimi tempi.
Nelle due Rsa, sotto unica gestione, dove ha operato Sant'Egidio, è morto il 35% dei 435 ospiti. La Comunità è intervenuta dapprima con l'invio di presidi sanitari per evitare i contagi, poi a maggio ha formato un'équipe guidata da un medico palliativista e tre Oss (Marlene, Alberta, Walter) che hanno iniziato a recarsi nelle Rsa quotidianamente.
La situazione tra gli anziani sopravvissuti era peggiorata. Tutti mangiavano omogeneizzati poiché il distanziamento allungava i tempi della distribuzione dei pasti. Era anche evidente un forte calo della capacità di parola e del quadro psicoemotivo.
Il gruppo della Comunità ha seguito, usando i Dpi correttamente, gli anziani, combattendo conto l’isolamento fisico, emotivo e cognitivo. Partendo da relazioni uno a uno, sono poi passati a gruppi. E' stato ripreso un discorso di socializzazione, ed è stato supervisionato anche il momento dell'alimentazione e dell'attività motoria.
La Comunità di Sant'Egidio sottolinea come nelle Rsa sia importante curare anche le interazioni con gli anziani, perché la socialità di tutti. Nei mesi del lockdown, infatti, Sant’Egidio ha lanciato l’appello 'Senza anziani non c’è futuro. Per ri-umanizzare le nostre società.
No a una "sanità selettiva" in cui chiede di superare l’istituzionalizzazione e propone «una rivolta morale perché si cambi direzione nella cura, perché soprattutto i più vulnerabili non siano mai considerati un peso o, peggio, inutili».
(Sintesi redatta da: Balloni Flavia)