L'obbligo vaccinale nelle Rsa pone un problema di carenza di personale. Chi al 10 settembre non si è ancora vaccinato è, sostanzialmente, un No-vax. Ci sono oltre 9 milioni di dosi disponibili in Italia, chi non si è immunizzato, salvo particolari ragioni di salute, lo ha fatto per scelta. Una parte di chi lavora nelle Rsa, di fronte all'idea di essere sospeso, forse si convincerà, ma un'altra fetta più consistente continuerà a rifiutare il vaccino, con conseguenze serie per l'attività assistenziale. Già si è visto con gli operatori sanitari che, nelle residenze per anziani rifiutano il vaccino. In queste strutture, in gran parte private ma in alcune Regioni anche pubbliche, ci sono difficoltà a garantire i servizi, dopo la sospensione di medici o infermieri No-vax.
Un caso emblematico è quello della provincia autonoma di Trento. A fine agosto i sindacati hanno denunciato questo quadro allarmante: cinque case di riposo possono garantire i turni, sette non hanno i parametri assistenziali e le altre devono «rimodulare al ribasso l'organizzazione» a causa dell'alto numero di operatori non vaccinati e quindi da sospendere: 74 infermieri, 263 Oss, 39 ausiliari e 5 medici, ovvero il 12% del personale.
Su scala nazionale non ci sono dati dettagliati per medici e infermieri delle Rsa non vaccinati, perché vengono ricompresi nella statistica generale del personale medico (il 5,5% ha rifiutato l'immunizzazione), ma sono numerosi i casi segnalati in tutta Italia. Eppure, nelle Rsa, nella prima parte della pandemia, ci furono moltissimi focolai e decessi per Covid concentrati soprattutto in Lombardia, Veneto, Piemonte ed Emilia-Romagna (una ricerca dell'Istituto Superiore di Sanità parlò di quasi 10mila morti, ma era un dato che comprendeva solo meno della metà delle Rsa italiane), si arrivò a un tasso di mortalità del 3,1%. La vaccinazione ha ridotto la curva dei contagi e dei decessi, ma oggi si avverte un indebolimento della protezione. Per questo si sta preparando la terza dose.
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)