L’attuale tasso di vaccinazione del 99,66% nelle Rsa non mette le strutture al riparo dai focolai da Covid, ma protegge quasi sempre dai decessi anche con la variante Delta. L’uso degli anticorpi monoclonali, se il contagio viene scoperto in tempo, offre un ulteriore argine contro i sintomi gravi. Eppure anche i contagi attuali, seppure i numeri non sono più quelli della prima ondata, ha una postilla inquietante: per rimpiazzare gli operatori entrati a contatto col virus infatti a volte è dovuta intervenire la Asl, con i propri infermieri e le Unità speciali di continuità assistenziale. «Il virus al momento è sotto controllo nelle Rsa, anche se la situazione richiede attenzione», conferma Marco Trabucchi, presidente della Società Italiana di Psicogeriatria. «Ma il grave problema è la mancanza di personale. Pochi dipendenti, stremati, potrebbero trovarsi in difficoltà in caso di una nuova ondata, anche piccola».
Dario Francolino presiede l’Associazione Orsan (Open Rsa Now), che rappresenta i parenti degli ospiti chiede una maggiore apertura per le visite, proprio per sopperire alla mancanza di personale. La legge sul Green Pass allargato dovrebbe allentare le tensioni, consentendo l’accesso quotidiano ai parenti con il certificato verde, sempre con mascherina e distanziamento, ma spesso senza plexiglas. La Delta però spaventa. I focolai quasi quotidiani in tutta Italia sono raramente gravi, ma hanno l’effetto di mantenere i nervi tesi. La data della terza dose non è ancora stata fissata, a differenza di Francia e Spagna che hanno già iniziato le somministrazioni nelle Rsa. Diego De Leo, lo psichiatra, che in un articolo su Lancet insieme a Trabucchi durante la prima ondata aveva definito le Rsa «castelli assediati», oggi parla di «castelli resilienti, che si sono attrezzati grazie ai vaccini per rintuzzare gli attacchi». Secondo i dati, è da marzo-aprile che, grazie ai vaccini, la mortalità in queste strutture è in netto calo.
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)