Dopo le prime esternazioni di esperti secondo cui il Covid 19 era poco più di un’influenza, dal 27 febbraio si cominciò a tranquillizzare anche dicendo che sì, qualcuno moriva ma che il coronavirus che non è così letale perché a morire erano solo i vecchi già colpiti da altre patologie e ormai ultra ottantenni.
Nel breve volgere di poco più di un mese gli stessi esperti, professori, editorialisti e oggi magistrati, si scandalizzano perché a morire siano tanti anziani.
Nelle Rsa o nelle case, si suppone, perché tamponi e dati certi sino al 7 aprile non è stato dato di avere.
Al 9 aprile un’analisi dell’Istituto Superiore di Sanità su un campione di 16.654 pazienti deceduti e positivi a COVID-19 in Italia, ha stabilito che l’età media dei pazienti deceduti e positivi a COVID-19 è di 78 anni per gli uomini e di 83 per le donne.
Ora, le 4629 case di riposo e Rsa italiane hanno una popolazione di 300.000 ospiti (più di un quinto dei quali in Lombardia) al 75% over 80 e al 78% non autosufficienti (in Lombardia al 94%!).
Insomma, era prevedibile che proprio in queste strutture le morti si sarebbero moltiplicate. Eppure non esisteva nessuna linea guida per emergenze di questo tipo nonostante le indicazioni e le promesse del dopo Sars.
E in più proprio le strutture dedicate agli anziani sono state lasciate sole, senza indicazioni sino al 4 marzo e senza Dispositivi di protezione individuale per i suoi operatori socio-sanitari ancora sino a pochi giorni fa.
Ora le Rsa sono diventate il capro espiatorio perfetto e decine di Pm si sono lanciati lancia in resta ponendosi l’epocale domanda: “a marzo 2020 sono morti più anziani che a marzo 2019?”.
Ma le Rsa sono un capro espiatorio perfetto perché addossare su di loro la colpa lava anche una cattiva coscienza sociale, quella di chi ha affidato i suoi anziani già da mesi o da anni a coloro che potevano e dovevano occuparsi di loro.
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)