Con l'invecchiamento della generazione del baby boom, sempre più cittadini americani avranno bisogno di ricoveri a causa della demenza. Le stime in futuro parlano di 1 anziano su 3. I pazienti più anziani, in particolare se affetti da demenza, possono diventare molto confusi e agitati man mano che la malattia progredisce. A volte possono agire mettendo a rischio se stessi o gli altri: una condizione chiamata in medicina ospedaliera "emergenza comportamentale".
Si tratta di una condotta generalmente priva di intenti criminali causata da malattie gravi e demenza. Tuttavia, questo tipo di emergenza ospedaliera è generalmente percepita come "violenza" e contrastata con la forza. In genere ciò significa che, spesso, i pazienti anziani - nei momenti di agitazione durante il ricovero ospedaliero - vengono trattenuti fisicamente. I comportamenti coercitivi messi in atto dalle squadre di intervento interrompono e riducono la qualità e l'efficienza delle cure, contribuendo a uno stillicidio finanziario dei sistemi ospedalieri, all'aumento dei premi assicurativi, e allo stesso tempo portano all’occupazione non necessaria dei posti letto disponibili, con un grave impiego delle risorse ospedaliere.
Sorprendentemente, a livello nazionale la maggior parte degli ospedali non ha un protocollo di emergenza per queste situazioni, al di là di quanto previsto nei casi in cui sia necessario l’impiego delle misure di forza. Questo finisce per tradursi in pratica nel richiedere l’intervento della polizia in uniforme e degli impiegati della sicurezza per bloccare un paziente agitato, anche se affetto da demenza. Ma le risposte di questo tipo non aiutano gli specialisti clinici nel trattamento delle cause mediche di confusione e disagio del paziente, inclusa la demenza. Anzi, gli agenti in uniforme possono anche scatenare ancora più paura nei pazienti.
Eppure esistono protocolli studiati e centrati sul paziente, proprio per la gestione delle emergenze comportamentali. Questi approcci, tuttavia, sembrano non avere al momento la priorità negli Stati Uniti. Gli equivalenti psichiatrici dei team di pronto intervento medico, chiamati "team di risposta comportamentale alle emergenze" o "BERT", danno la priorità all'assistenza centrata sul paziente e alla sicurezza del fornitore (ospedale o casa di cura) mobilitando immediatamente un team di specialisti. Il loro primo passo è ridurre al minimo il rischio di lesioni del paziente e del fornitore, riducendo lo stato di agitazione del malato. Ma molti modelli BERT prevedono l’impiego di infermieri non psichiatrici, assistenti sociali, cappellani e solo man mano che i pazienti diventano più calmi, le squadre ospedaliere di primo soccorso iniziano la seconda fase di indagine sugli aspetti puramente clinici del disagio. Spesso, dunque, il rapporto medico/paziente resta in secondo piano. E poiché questi team possono essere formati con le risorse esistenti, i BERT non devono aggiungere costi alle cure. Al di là di un miglioramento nel modello, è rilevante che nel Paese, solo gli ospedali pionieristici gestiscono i BERT da decenni. Negli Stati Uniti, infatti, i sistemi e gli operatori sanitari tendono a stigmatizzare le emergenze comportamentali come forme di violenza, piuttosto che riconoscerle come situazioni mediche che richiedono cure appropriate - ed etiche - per pazienti malati e vulnerabili. Allo Yale New Haven Hospital, ad esempio, il deterioramento cognitivo dovuto alla demenza è una diagnosi comune nei codici comportamentali di emergenza, come è evidente nel 73% di questi casi da giugno 2017 a giugno 2018.