Il cervello invecchiando “perde colpi”, ma il rallentamento delle funzioni cognitive, considerato finora fisiologico e inevitabile, può in realtà essere interrotto agendo sul sistema immunitario. O almeno questo è quanto suggerisce un gruppo di ricerca internazionali in uno studio su Nature, nel quale, in esperimenti su animali e culture cellulari umane, hanno ricostruito il meccanismo all’origine del deterioramento cerebrale senile. Se l’ipotesi degli scienziati dovesse essere confermate sugli esseri umani, si potrebbero aprire nuovi scenari nel contrasto all'invecchamento del cervello, per esempio attraverso lo sviluppo di farmaci in grado di opporsi a questi meccanismi.
L’organismo, cervello incluso, con il passare degli anni subisce i danni di un’infiammazione cronica che, secondo gli autori dello studio, è alimentata da alcune cellule del sistema immunitario chiamate cellule mieloidi. Le cellule mieloidi che si trovano nel cervello, nel sistema circolatorio e nei tessuti periferici del corpo in condizioni normali svolgono una funzione difensiva assicurando una serie di interventi puntuali: combattere gli agenti infettivi, liberarsi delle sostanze tossiche e delle cellule morte, fornire nutrimento ad altre cellule. Ma con l'avanzare dell'età, le cellule mieloidi perdono il controllo delle loro azioni e si attivano contro nemici inesistenti alimentando il processo infiammatorio. Così facendo danneggiano i tessuti che avrebbero dovuto proteggere. È come se una squadra di pompieri si trasformasse gradualmente in un gruppo di piromani.
I ricercatori hanno provato a bloccare questo processo agendo sulle cellule immunitarie “impazzite”. E ci sono riusciti concentrandosi sul ruolo di un ormone chiave, chiamato Pge2 della famiglia delle prostaglandine. Le cellule mieloidi sono la principale fonte di PGE2 che può avere un’azione positiva o negativa a seconda delle cellule a cui si lega attraverso determinati recettori. Uno di questi recettori EP2 si trova sulle cellule immunitarie ed è particolarmente abbondante sulle cellule mieloidi.
Gli scienziati hanno dimostrato che bloccando il legame PGE2-EP2 con farmaci specifici negli animali anziani il processo infiammatorio si interrompe e le cellule mieloidi tornano a metabolizzare il glucosio esattamente come fanno quelle giovani, ossia da piromani tornano pompieri. Gli effetti di questo processo si osservano sulle funzioni cognitive degli animali: i farmaci che inibiscono il legame ormone-recettore riducono il declino cognitivo legato all’età. I topi più anziani sottoposti alla terapia hanno ottenuto infatti nei test sull’orientamento e la memoria punteggi analoghi a quelli dei loro simili più giovani.
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)