Il cohousing nasce nell’ottica di un welfare comunitario che vuole rispondere a bisogni socioassistenziali attraverso relazioni di prossimità e vicinato. Nel modello del senior cohousing, rivolto a persone in età avanzata (e comunque superiore ai 55 anni) con diversi gradi di autosufficienza, capacità fisiche ed economiche, l’anziano è considerato soggetto attivo e ricco di risorse. Nel senior cohousing l’edificio è pensato soprattutto come luogo collettivo entro il quale sono ricavati spazi privati, a differenza dei tradizionali condomini dove gli spazi comuni sono limitati alle funzioni di passaggio, come l’ascensore, l’androne e il pianerottolo.
Gli spazi comuni sono progettati dai residenti stessi per soddisfare le loro esigenze e interessi specifici. I cohousers si impegnano quotidianamente a svolgere servizi utili al vicinato nelle aree comuni, spesso collocate al centro della comunità. Le aree comuni sono un elemento chiave del senior cohousing: sono infatti pensate per ospitare attività di gruppo, essenziali per la vita quotidiana degli abitanti ormai pensionati. Qui i cohousers possono consumare insieme i pasti, svolgere lavoretti di artigianato, organizzare tornei di giochi di società o anche solo impegnarsi in una conversazione. Il senior cohousing consente di creare comunità sostenibili dal punto di vista sociale, finanziario e ambientale, in cui i membri forniscono assistenza gli uni agli altri (co-caring) in sostegno all’ageing in place.
Si crea così un processo di empowerment a livello collettivo e individuale. Il cohousing non è un’alternativa ai servizi assistenziali o una soluzione per gli anziani con limitate autonomie o disabilità, quanto una soluzione residenziale che consenta alle persone di invecchiare attivamente e di ottimizzare spese e fruizione di servizi. Si verificherebbe così un processo di protensione verso la comunità, di «normalizzazione» nel senso di individuare procedure e iniziative che favoriscano l’accoglienza del disagio nelle reti comunitarie. Le comunità devono elaborare strategie per accogliere anche le situazioni di difficoltà, con l’obiettivo di innalzare il benessere e la qualità della vita di tutti.
Il cohousing può essere considerato come un acceleratore di community care, poiché cerca di favorire condizioni che consentano che la cura in parte si autorealizzi. Queste forme di miglioramento della comunità non partono dalle istituzioni e dalle autorità, bensì dal basso, lì dove è possibile che ci siano connessioni orizzontali tra le persone che portano alla creazione di reti sociali di supporto. Si delinea così una forma di sussidiarietà relazionale, in cui si intrecciano orizzontalmente il lavoro di istituzioni e comunità.
L’inclusione di un operatore sociale all’interno di modelli abitativi destinati alle persone anziane dovrebbe essere attentamente ponderata, per evitare il rischio di perpetuare una dinamica assistenziale che potrebbe compromettere l’autonomia individuale e limitare l’autorganizzazione degli abitanti anziani. Tuttavia, è possibile individuare un ambito in cui l’operatore sociale possa offrire un contributo di rilievo. Tale contributo può iniziare con la fase progettuale degli spazi abitativi, per poi proseguire successivamente nella fase cruciale di costruzione di un patto di convivenza tra gli inquilini e, infine, si può manifestare nell’accompagnamento discreto che facilita la promozione di relazioni interpersonali fluenti e nell’assistenza alla risoluzione di conflitti eventuali.
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)