Il virus ha stravolto la nostra vita sul piano individuale e collettivo. È subito apparso chiaro che la vulnerabilità della singola esistenza sia affidata all’efficienza della sanità pubblica, scarsamente valorizzata da decenni.
Ai grandi sommovimenti di ordine generale hanno fatto riscontro sentimenti di conservazione, di rifugio domestico, di tentativo di adattamento per conservare il più possibile le abitudini personali e familiari.
Intanto si è assistito al venir meno della dimensione sociale che ha accentuato le differenze tra individui e gruppi. Anche le istituzioni e i servizi sociali hanno subito l’im patto dell’emergenza, dovendo scegliere tra limitare il contagio e continuare gli interventi.
Il terzo settore si è trovato in questo scenario a dover subire i colpi inferti dalla chiusura di molti servizi destinati ai più fragili (minori e anziani), chiamato quindi a sostenere l’onerosità del mantenere attivi e in sicurezza i servizi essenziali.
Contemporaneamente, per la sua natura, è stato motore di risposte innovative e stimolo alla costruzione di interventi. Dal canto loro le istituzioni sembrano mantenere una posizione conservatrice che approccia gli interventi decisionali con fatica e lentezza, tendendo a rinviare e possibilmente demandare ad altri la costruzione del cambiamento.
Le istituzioni potrebbero piuttosto sfruttare la loro posizione super partes per favorire la condivisione delle buone prassi sperimentate dalle organizzazioni, mettendo a sistema le più riuscite.
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)