La diffusione pandemica ha costretto le istituzioni e i servizi sociali ha subire l’impatto della emergenza, trovandosi sul delicato crinale tra la necessità di frenare gli interventi per favorire il ritiro degli utenti e limitare il diffondersi del contagio, e la consapevolezza di non poter rispondere ai bisogni che queste persone continuavano ad avere, accresciuti dall’isolamento.
Chiusura e congelamento delle attività hanno cancellato di colpo ogni spazio di socialità, ogni occasione collettiva di cultura e crescita per migliaia di persone.Il contesto sociale ha reagito con una sorta di ‘altruismo reciprocoo, ma diversa è stata la risposta delle Istituzioni, concentrate sulla ‘sicurezza’ e la ‘protezione’. Il Terzo settore si è trovato in questo scenario a dover subire i gravi colpi subiti dalla chiusura di molti servizi destinati ai più fragili, come gli anziani, chiamato a sostenere, spesso senza garanzie di u n riconoscimento economico, l’onerosità del mantenere attivi i servizi essenziali come gli interventi domiciliari.
Nello stesso tempo per la sua naturale inclusione nel contesto sociale, è stato motore di iniziative stimolanti e innovative. Il contesto emergenziale ha posto la necessità di ripensare i sistemi di cura come community centered, ossia modelli localizzati di gestione, dove la decentralizzazione delle decisioni e la responsabilità diventano compito delle comunità tramite meccanismi flessibili di intelligenza collettiva e collaborazione tra organizzazioni con professionalità, competenze e mandati diversi (Tricarico, Venturi, 2020). Le Istituzioni sembrano mantenere una posizione conservatrice che approccia agli interventi decisionali con lentezza. Potrebbero piuttosto sfruttare la loro posizione super partes per favorire la condivisione delle buone prassi sperimentate dalle organizzazioni , mettere a sistema le disparità provocate dal virus.
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)