La pandemia rende più tristi, soprattutto le persone anziane.
Come spiega una signora di settant'anni al cronista del Pais in Spagna: «Una persona giovane può dire che un giorno tutto questo sarà finito. Ma noi non possiamo. La pandemia sta rendendo cupa la fine delle nostre esistenze. Non sanno se hai un computer e se puoi permetterti di pagare la tariffa del servizio Internet. Tutto è predisposto per i più giovani. Loro sono abituati, ma noi abbiamo bisogno di toccare, sentire, vedere».
Un rapporto recente dell'Oms parla di "Covid fatigue", in cui si denuncia il fatto che a causa della situazione, aumenti la stanchezza e lo scoramento. Da un sondaggio risulta che ì il 60% dei cittadini europei, si sente sfinito, demotivato, apatico, e per questo, meno disposto a rispettare le misure di sicurezza. Queste ultime si sentono come una sorta di restrizione soffocante della propria libertà, e sale la voglia di ribellione.
La parola che torna nelle testimonianze è tristezza, anche perché manca la voglia di programmare, di fare progetti. E non si riesce a parlare d’altro. Oltre un secolo fa, per raccontare il clima emotivo del primo conflitto mondiale, Stefan Zweig evocava il respiro «corto, agitato» di milioni di esseri umani: «Più breve è ora il sonno del mondo, più lunghe le notti e più lunghi i giorni». Questa resistenza sul lungo periodo richiede un costo emotivo per tutti, tante persone hanno dovuto rinunciare a momenti importanti della loro vita, momenti che non potranno tornare.
(Sintesi redatta da: Balloni Flavia)