Dopo un anno la Corte costituzionale, che nell’ottobre 2018, aveva dato 12 mesi di tempo al legislatore per intervenire, torna a prendere in mano il tema del suicidio assistito, affrontandone la la questione di costituzionalità. Questa era stata sollevata dalla Corte d’appello di Milano davanti alla quale si è autodenunciato Marco Cappato, dopo avere portato in Svizzera Dj Fabo a concludere la sua esistenza. La Corte aveva già osservato che «il divieto assoluto di aiuto al suicidio finisce, quindi, per limitare la libertà di autodeterminazione del malato nella scelta delle terapie, comprese quelle finalizzate a liberarlo dalle sofferenze, scaturente dagli articoli 2, 13 e 32, secondo comma, Costituzione, imponendogli in ultima analisi un’unica modalità per congedarsi dalla vita… Con conseguente lesione del principio della dignità umana, oltre che dei principi di ragionevolezza e di uguaglianza in rapporto alle diverse condizioni soggettive». Ma anche dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’articolo 580 del Codice penale, non rappresenta una scelta equilibrata. «Una simile soluzione lascerebbe, infatti del tutto priva di disciplina legale la prestazione di aiuto materiale ai pazienti in tali condizioni, in un ambito ad altissima sensibilità etico-sociale e rispetto al quale vanno con fermezza preclusi tutti i possibili abusi».Questo perché, in assenza di una specifica disciplina della materia, chiunque potrebbe lecitamente offrire per spirito filantropico o a pagamento, assistenza al suicidio a chi lo desidera, senza alcun controllo preventivo sull’effettiva esistenza, per esempio, della capacità di autodeterminarsi, del carattere libero e informato della scelta espressa e dell’irreversibilità della patologia.
(Sintesi redatta da: Balloni Flavia)