Il Covid 19 ha devastato le Rsa anche a causa dei ritardi nell'applicazione delle misure di precauzone.
Il grosso del problema si è infatti sviluppato nelle prime due settimane, dopo si è potuto solo cercare di arginare i danni.
La Regione Lombardia, con una email del 23 febbraio, aveva limitato le visite nelle residenze ad un solo parente per volta, ma in strutture numerose ciò ha comportato comunque un forte afflusso di visitatori, oltretutto con contatti molto ravvicinati. Il 27 febbraio, in un'altra direttiva si ordinava di richiedere ai visitatori conferma dell’assenza di febbre e/o sintomi respiratori, ma nella maggio parte dei casi non viene fatto. Ancora l'8 marzo c'è il blocco delle visite, ma con deroga per i «casi indicati dalla direzione sanitaria della struttura». In più, in molte Rsa viene osteggiato da parte dei gestori l'uso dei dispositivi di sicurezza.
Altro problema è stata l'assenza di chiusura preventiva dei centri diurni e degli ambulatori esterni. Ad esempio all’Auxologico di Milano gli ambulatori rimangono aperti fino al 26 marzo, col risultato di avere un intero piano quasi tutto Covid 19, moriranno 50 anziani su 150. Nella prima fase dell'epidemia i tamponi vengono fatti anche nelle Rsa, ma poi sono sospesi e fatti sugli anziani solo al loro arrivo in ospedale. In questa situazione, già molto pericolosa, si aggiunge il problema dell'accoglienza dei dimessi dagli ospedali (anche se ancora positivi) con delibera dell'8 marzo.
(Sintesi redatta da: Balloni Flavia)