La rapidità con cui il cuore e i suoi vasi sanguigni più vicini si deteriorano con l'avanzare dell’età, dipende da numerosi fattori, tra cui lo stile di vita, l’attività fisica, il fumo, il consumo di alcol e la presenza di patologie. Tuttavia, anche le mutazioni genetiche giocano un ruolo importante. Nel DNA dei centenari, i ricercatori hanno trovato una variante di un gene (LAV-BPIFB4, longevity associated variant), che determina una maggiore produzione della proteina BPIFB4, che conferisce elasticità ai vasi sanguigni, rallentando e invertendo il naturale processo di invecchiamento delle cellule endoteliali (rivestono l'interno delle pareti del cuore, dei vasi sanguigni e di quelli linfatici).
Questo 'gene della longevità' protegge i vasi, attivando una serie di funzioni, in particolare l’enzima eNOS, responsabile della produzione dell’ossido nitrico, importante per mantenere allargati i vasi e favorire la circolazione. Un vero e proprio elisir di lunga vita capace di "ringiovanire" i vasi sanguigni e ridurre l’incidenza di diverse patologie correlate ad un’alterazione della funzione vascolare, come infarto, ictus e ipertensione, ma anche malattie metaboliche e neurologiche. Questa scoperta ha spinto i ricercatori ad indagare più da vicino gli effetti fisiologici della variante del gene.
I ricercatori del Gruppo MultiMedica di Milano hanno somministrato in laboratorio il gene a cellule cardiache di pazienti anziani con gravi problemi cardiaci, compresi alcuni che avevano precedentemente subito trapianti di cuore, e poi ne hanno confrontato la funzione con quella di individui sani. I risultati hanno suggerito che LAV-BPIFB4 svolge un ruolo significativo nel mantenimento delle cellule pericitiche, fondamentali per la costruzione di nuovi vasi sanguigni e il loro mantenimento in buone condizioni, e quindi a mantenere il cuore funzionante più a lungo.
I ricercatori dell'Università di Bristol hanno, invece, introdotto una singola copia del gene anti-invecchiamento mutante (gene LAV-BPIFB4) in un gruppo di topi di mezza età e visto che era in grado di arrestare il declino della funzione cardiaca dopo essere stato assorbito dal miocardio. Cosa ancora più notevole, quando introdotto nel gruppo di topi anziani, i cui cuori mostravano le stesse alterazioni osservate nei pazienti anziani (dello studio italiano), il gene ha riportato indietro l'orologio biologico ringiovanendo il cuore di 10 anni (tempo equivalente per l’uomo).
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)