La pandemia ha causato più di 132 mila morti. La stragrande maggioranza di loro erano anziani. Se non si affronta per tempo — anche con un’assicurazione obbligatoria — l’esplosione della non autosufficienza (sono 2 milioni e 700 mila tra i 7 milioni di ultrasettantacinquenni) si correrà il rischio di fare i conti con un universo di sofferenze croniche che ricadrà anche sulle giovani generazioni. Ma non è solo una questione di qualità dell’assistenza e di risorse adeguate. La vecchiaia va reinventata come una stagione della vita ricca anche di bellezze ed emozioni. Monsignor Paglia cita il teologo ortodosso Olivier CLément. Nella tradizione bizantina, Dio manda un angelo a soccorrere gli anziani nell’ultimo tratto di vita per evitare che la loro anima cada nel vuoto, ma accade — racconta Paglia — forse per una preghiera di intercessione, che Dio cambi la propria decisione e quest’uomo viva ancora. L’angelo, a questo punto, riceve l’ordine di ritirarsi. Senza essere visto, lascia al morente gli occhi che aveva sulle ali.
La “parabola” riassume una delle grandi virtù degli anziani: vedere da vicino ciò che gli altri vedranno a loro tempo. Sono come degli esploratori. Un’avanguardia di testimoni. Il teologo e scrittore cattolico Romano Guardini ammoniva però che la comunità deve dare la possibilità a tutti di invecchiare nel modo giusto, perché nessuno può darsela da sé. Se è vero che la società deve assicurare assistenza non solo sanitaria, ma anche sociale (la solitudine uccide più delle malattie ha scritto Andrea Riccardi) è altrettanto indispensabile rivalutare la condizione civica degli anziani, tutelando la loro dignità di cittadini. Non sono un peso e tantomeno uno scarto. Il grado di civiltà della società si misurerà sempre di più da come saranno curati, rispettati e amati in uno spirito di riconoscenza e di solidarietà intergenerazionale. Colpisce che Paglia accusi anche la Chiesa di essersi dimenticata, nella rinnovamento conciliare, della vecchiaia, trattata alla stregua di «una palude da cui nulla ci si poteva aspettare» e nonostante Paolo VI fosse «un grande esperto di umanità». Un’autocritica che sorprende.
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)