Lo spopolamento e l’invecchiamento della popolazione, svuotando le fila degli italiani in età da lavoro, avranno effetti negativi sulla ricchezza nazionale. A poco servirà l’immigrazione per compensare questo effetto recessivo. Bisognerà cercare altre vie, a partire dall’allungamento della vita lavorativa, da una maggiore partecipazione femminile alla forza lavoro e da un più elevato grado di istruzione. Nessuna di queste politiche, tuttavia, potrebbe da sola invertire il trend. L’unica leva capace di farlo sarebbe un decisivo aumento della produttività, oggi al palo. Impresa ardua se pensiamo che una quota crescente dei futuri lavoratori avrà i capelli bianchi, sarà sempre meno incline agli aggiornamenti tecnologici e alle innovazioni e tenderà ad a avere una salute fragile. Resta fermo che, senza un deciso cambio di passo nella produttività , nel prossimo ventennio l’impatto del crollo demografico sarà una discesa del prodotto interno lordo del 15% e del reddito pro capite del 13%. A questi risultati sono arrivati i ricercatori della Banca d’Italia che hanno rielaborato per sotto-periodici un loro recente studio, dal quale risulta che il declino è iniziato già nel 2015, da quando, cioè, sono spariti 436 mila residenti, come dire la popolazione di Pescara, Terni, Piacenza e Ancona messi insieme. Nel frattempo la quota degli over 65 è salita al 22,8% della popolazione. Ma se ci immaginiamo proiettati nel 2041 vedremo uno scenario ancora più pesante: i baby boomers saranno in pensione da tempo e l’esercito dei capelli bianchi salirà a un terzo del totale.
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)