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Del Bello Giuseppe

Tutti i pezzi del puzzle ginocchio

La Repubblica, 17-05-2016, pp.38-39

Nell’artrosi al ginocchio non sempre, dicono gli studi, va bene intervenire a livello chirurgico con la tecnica artroscopica. Avverte Enrico Arnaldi, responsabile di Chirurgia artroscopica del ginocchio all’Humanitas di Milano «Il ginocchio che non soffre di artrosi e che però presenta una sintomatologia da lesione del menisco (scatti, blocchi meccanici, dolore) può essere trattato anche con tecnica artroscopica con ottimi risultati. Ma bisogna distinguere le indicazioni che possono avvalersene». L’intervento può essere indicato, per esempio, nelle situazioni preartrosiche (condropatie) dove le procedure mirano a stimolare un processo di riparazione della cartilagine stessa. Nell’artrosi del ginocchio vera e propria, dove l’articolazione con tutte le sue componenti è in gran parte usurata, la protesi resta per ora l’unica soluzione. Protesi che può essere parziale se viene rivestita solo una parte del ginocchio o totale quando il rivestimento coinvolge tutta l’articolazione. Ma nei casi borderline di gonartrosi, con pazienti troppo giovani o over 60 che non vogliono rinunciare a fare sport quali sono le alternative? «In queste condizioni, disponiamo di varie potenzialità terapeutiche», continua Arnaldi, «si parte dall’infiltrazione di acido ialuronico fino al trattamento con fattori di crescita piastrinici e alle staminali prelevate dal tessuto adiposo addominale ». L’acido ialuronico ha una duplice funzione antinfiammatoria e metabolica. «Il risultato è buono se la lesione cartilaginea è modesta», spiega ancora lo specialista, «ma in caso di artrosi in stadio più avanzato, questa sostanza può solo migliorare la viscosità. Significa che le superfici articolari scivolano più agevolmente l’una sull’altra e, diminuendo l’attrito, si migliora la funzione articolare e si allevia il dolore». Il gel piastrinico preso dal sangue del paziente viene invece utilizzato se l’acido ialuronico si è rivelato insufficiente e l’obiettivo è neutralizzare le sostanze alla base dell’infiammazione dell’articolazione. Nello stesso modo agisce anchel’inoculazione per via artroscopica di cellule staminali. «Queste due tecniche devono però essere applicate solo in casi selezionati – precisa Arnaldi – evitando, come spesso accade, di procedere alle infiltrazioni anche quando non ce n’è bisogno. E soprattutto è necessario sorvegliare i pazienti nelle fasi successive alla procedura per convalidarne scientificamente l’efficacia. Ovviamente, queste cautele e questa attenzione sono possibili in centri specializzati». In caso invece di lesioni dovute a traumi si può ricorrere alla chirurgia artroscopica. Con due minincisioni, si introducono gli strumenti dedicati; in una passa l’ottica che permette di visualizzare il campo operatorio. Nell’altra micro incisione passano gli strumenti per suturare il menisco. La chirurgia mini invasiva interviene anche in caso di problemi sui legamenti. Ovviamente dopo qualsiasi tipo di operazione c’è il tempo (da uno a cinque mesi) della riabilitazione che va eseguita da un professionista.

(Sintesi redatta da: Flavia Balloni)

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Autore (Cognome Nome)Del Bello Giuseppe
Casa Editrice, città
Collana
Anno Pubblicazione2016
Pagine38-39
LinguaItaliano
OriginaleNo
Data dell'articolo2016-05-17
Numero
Fonte
Approfondimenti Online
FonteLa Repubblica
Subtitolo in stampaLa Repubblica, 17-05-2016, pp.38-39
Fonte da stampare(Sintesi redatta da: Flavia Balloni)
Volume
Approfondimenti
Del Bello Giuseppe
Parole chiave: Disturbi e malattie legati all'invecchiamento Fratture Ospedale