Nel proprio inconscio ciascuno di noi si crede immortale, è convinto che la morte non lo riguardi: vecchio è sempre l’altro. Alberto Spagnoli (1995), osserva che la tragicità della vecchiaia non consiste “nell’essere diventati vecchi, ma nell’essere rimasti, nel nostro intimo, giovani”. La psicologia della senilità deve comprendere la ricerca sul possibile senso della vecchiaia. Quando giunge la percezione che il fine vita è prossimo nasce un profondo senso di smarrimento, l’ambigua condizione di essere vivo e contemporaneamente incurabile. Gardumi, nella sua autobiografia, scrive ”fino all’ultimo attimo della vita c'è ancora in me qualcosa che ancora vive, nonostante il mio corpo non possa più guarire”. La vecchiaia, il fine vita di un malato terminale, rivelano un passaggio misterioso, sacro non solo per lui, ma anche per tutti coloro che lo accompagnano. Così l’appello “aiutami a morire” può essere interpretato come un grido riferito alla vita psichica: ”Aiutami a vivere il morire”. Aiutami a dare a quest’ultimo tempo della vita una qualità, un senso che la renda vivibile. A volte in contrasto e conflitto con una tecnologia medica molto efficiente, c’è spesso un grande vuoto nella conduzione e nelle scelte del fine vita. Qui, La psicoanalisi e le molteplici psicoterapie, sono invitate ad affinare la conoscenza e a porgere quel soffio vitale che l’inconscio senza fine emana.
(Fonte: tratto dall'articolo)