Sono cinquemila le case di riposo che in Giappone usano robot per aiutare i loro ospiti. Ma oltre a raccogliere oggetti e tenere tutto sotto controllo, la loro missione è anche tenere compagnia agli anziani: ci sono cybercani che si fanno coccolare e trainer umanoidi che impartiscono lezioni di ginnastica. L’amore per i robot da parte dei giapponesi è noto, grazie a una letteratura piena di fumetti e anime, aiutata forse anche dall’esegesi scintoista, il credo più seguito nel paese, che potrebbe attribuire anche ai robot uno spirito vitale. La motivazione più realistica deriva dalla fotografia demografica di un paese che ha un quarto di popolazione con più di 65 anni, senza una politica dell’immigrazione capace di tappare i buchi nell’occupazione. Per diventare infermiere uno straniero deve passare un esame severo di giapponese; così, alla fine del 2017 sono stati dati solo 18 permessi di lavoro per questo ruolo. Per questo il governo nipponico sovvenziona le aziende che producono robot, che vengono acquistati dalle case di riposo per far fronte alla carenza di personale specializzato. Per ora il mercato della tecnologia robotica applicata al welfare non è grande, ma le cifre lieviteranno, poiché tanti sono i paesi con problemi di invecchiamento della popolazione (Cina, Germania e Italia tra i primi). Per ora nessun robot riesce ancora a lavare, pettinare o fare la barba: cioè eseguire i lavori più richiesti nelle case di cura. Vengono invece molti apprezzati, soprattutto dagli ammalati di demenza, come supporto per aiuti materiali, per raccogliere oggetti, facilitare il passaggio tra letto e sedia a rotelle, assistere nella deambulazione, per interazioni amichevoli, visto che alcuni sono in grado di sostenere conversazioni semplici, in grado di aiutare i pazienti a sentirsi ancora vivi.
(Sintesi redatta da: Balloni Flavia)