In riferimento alla figura dello sciamano, Carolyn Christov-Bakargiev, direttrice del Castello di Rivoli - Museo d'Arte Contemporanea, ricorda come «dalla notte dei tempi l'artista e il medico fanno mestieri simili, anzi spesso erano la stessa persona» e come ancora oggi in India esistano dei racconti curativi, mentre venendo alla cultura cristiana, non si può prescindere dalla figura di Gesù, consolatoria da 2 mila anni.
Oggi, per la direttrice del museo d'arte contemporanea, la sfida è misurare gli effetti dell'esperienza artistica sulla salute. La scoperta potrebbe essere che convenga investire nell'arte più che nelle medicine. E il rapporto tra arte e salute sarà uno dei temi al centro dell'incontro tra Christov-Bakargiev e la scrittrice Michela Murgia al Festival di «Salute» del Gruppo Gedi, il 10 settembre al Teatro Carignano di Torino. Da tempo Christov-Bakargiev segue artisti che intendono la loro opera come produttrice di cura. Non a caso molti dei personaggi che ha lanciato, come il sudafricano William Kentridge, hanno vissuto dei traumi, tanto da sviluppare un'arte lenitiva e di riconciliazione non soltanto intellettuale oppure morale, ma anche fisica.
Già lo storico dell'arte tedesco Robert Vischer, un secolo fa, usava la parola «Einfühlung» per sotolineare che sono importanti le caratteristiche formali dell'opera d'arte, ma anche ciò che questa innesca nell'osservatore. Una tesi appoggiata oggi dalle neuroscienze. Esponendo delle persone a una serie di immagini, infatti, si possono studiare i meccanismi di simulazione che si innescano nel cervello e nell'organismo. Vedere un'azione, per esempio, attiva il sistema motorio, una stimolazione sensoriale le aree tattili, un'espressione sul volto di qualcuno le aree visceromotorie.
Non a caso l'arte viene usata sempre di più anche per curare patologie complesse, come per esempio il morbo di Parkinson. Elisa Frisaldi, ricercatrice di neuroscienze dell'Università di Torino e appassionata di danza, coordina un progetto di riabilitazione che coinvolge il dipartimento di Neuroscienze e di Scienze chirurgiche dell'ateneo e il presidio sanitario San Camillo. Si tratta del metodo noto tra gli specialisti come «Dart», pubblicato in uno studio sulla rivista «Neurological Sciences». Per un periodo di cinque settimane un gruppo di 38 pazienti, malati di Parkinson, hanno unito alla fisioterapia i movimenti della danza, senza musica per non alterare la percezione, e traendo un evidente giovamento soprattutto nella parte superiore del corpo rispetto a diversi parametri: motori e cognitivi, emozionali e sensoriali.
E allora ritorna in scena, prepotentemente, l'arte. E' l'arte, dalla pittura alla musica, dalla poesia alla scultura, come raccontiamo anche nella sezione di psicologia dell'Hub «Salute», a permettere di unire biologia e spiritualità e a ridare, così, alla scienza la sua dimensione completa, perché - come sosteneva Ippocrate - «è importante conoscere la persona oltre alla malattia».
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)