Nel 1992 lo psichiatra angloamericano J.A. Hardy e il neurobiologo americano G.A. Higgins pubblicarono la prima spiegazione plausibile della malattia di Alzheimer cioè che «Le proteine beta-amiloidi [...] sono l’agente causale della patologia della malattia di Alzheimer» In sostanza: il cervello produce proteine, un terzo delle quali è dannoso o inutile e se ne libera con un processo di pulizia chiamato autofagia, che quando inizia a non funzionare lascia accumulare due proteine (beta-amiloide e tau) e frammenti di altre proteine in forma di placche e fibrille fra e dentro i neuroni. La cascata neurotossica di amiloidi provoca la morte di neuroni e sinapsi, prima nell’ippocampo e nelle aree circostanti (da qui l’indebolimento della memoria), poi in tutta la corteccia e in parte delle strutture sottocorticali, il che porta alla demenza progressiva e non c’è nulla che la prevenga, la curi, la rallenti o la fermi. Il fattore predisponente all’AD (malattia di Alzheimer) è l’età avanzata. Il rischio di ammalare di AD dopo i 65 anni è superiore al 35%, quindi l’allungamento della vita ha portato ad un aumento di anziani dementi (nel mondo oggi sono circa 30 milioni, numero destinato a crescere). La ricerca contro la malattia, è stata orientata principalmente alla ricerca della causa della biochimica difettosa della pulizia cellulare, producendo tantissime pubblicazioni. Da una decina d’anni la cascata delle amiloidi come causa della rarefazione cellulare e delle sinapsi appare più incerta, da un lato per l’insuccesso sia della ricerca del difetto dell’autofagia che di ogni terapia, dall’altro per dati anatomopatologici incongruenti con la teoria. Il numero di giugno 2015 della rivista Nature Neuroscienze pubblica due lavori, uno contrario e l’altro favorevole alla teoria della cascata. Contrario alla “cascade” è Karl Herrup, neuroscienziato molecolare dell'Università di Hong Kong, per il quale la disintegrazione strutturale e funzionale del cervello nell’AD è talmente grave da non poter essere spiegata col modello semplice e lineare della cascata di amiloidi, infatti da un quarto ad un terzo delle persone oltre i 65 anni ha placche senza demenza e lo scioglimento farmacologico delle placche non ha alleviato la condizione dei dementi o arrestato il peggioramento. Quindi le cause dell’Alzheimer potrebbero essere diverse. Si cercano difetti primari negli organuli e nelle molecole dei neuroni. Se il ruolo decisivo fosse, come diversi autori sostengono da tempo, nel condizionamento genetico della senescenza neuronale, cui Herrup fa cenno, l’AD rimarrebbe incurabile almeno per decenni e forse per sempre. E.S. Musiek e D.M. Holtzman, del centro di ricerca sull’AD della Washington University di St. Louis, ritengono che dati ed esperienze alla base delle critiche non bastano per eliminare la cascata delle amiloidi, anche se essa non sarebbe il fattore neurotossico essenziale, ma piuttosto l’inizio di un complesso di alterazioni culminante in una degenerazione cerebrale di cui le proteine tau sarebbero le responsabili principali. Alcuni medicamenti non avrebbero sortito effetto perché non utilizzati nel momento propizio. Le demenze senza placche sarebbero malattie simili alla AD per sintomi ma diverse per anatomopatologia, un’ipotesi congruente con l’idea delle diverse cause di AD di Herrup. Le alterazioni cellulari e biochimiche nel cervello dei dementi defunti sono molte e vaste. Per questo non si capisce ancora la base della AD e come prevenirla e curarla. Su ciò c’è concordanza di vedute, a conferma che la ricerca ultracentennale di una delle più gravi minaccia all’umanità è una débâcle senza paragoni nella storia della scienza.
(Sintesi redatta da: Flavia Balloni)