Le riprese del film sono incursioni gentili in un mondo segreto, filmate con la perizia che il regista ha acquisito osservando per due mesi il lavoro dell'equipe medica dell’Hospice di Careggi (Fi). C'è l'anziano dal corpo provato, che a domanda del medico risponde che no, non ha paura. E descrive senza alcuna angoscia il suo mal di stomaco passato da poco, per collaborare attivamente col medico alla ricerca delle cause scatenanti, onde evitare che ritorni. Collaborazione che avvolge il malato di interesse e tiene viva la sua fiducia e dignità, confermandogli che è qui per il controllo della sofferenza. C'è una ripresa in cui il figlio di un novantaduenne descrive al medico le reazioni colleriche del padre che, ricoverato in ospedale, si sente maltrattato dagli interventi dei sanitari e sollecita il figlio a denunciare alla polizia ciò che sta subendo.
Per la prima volta, qui, si capisce che, come il nascere è accompagnato di un gruppo di medici e infermieri, per assecondarne le fasi, lo stesso è opportuno succeda anche per il morire. Soprattutto perché l'applicazione di cure casuali all'incurabilità, come avviene negli ospedali, è frutto di una routine spersonalizzata, che non porta giovamento alcuno e si configura quindi come accanimento terapeutico.
(Sintesi redatta da: Carrino Antonella)